*Di Sergio Morisoli
Ne approfitto in questo finale di campagna per richiamare qualcosa a cui tengo molto, ma penso a cui tengono molto anche altri e altre cittadine, e certamente moltissime imprenditrici e imprenditori ticinesi. Abbiamo bisogno di rilanciare il Ticino, abbiamo bisogno di produrre nuovi redditi da lavoro e utili aziendali, abbiamo bisogno di far crescere i salari, abbiamo bisogno di bloccare l’emigrazione giovanile, abbiamo bisogno di attirare nuove attività con posti qualificati, abbiamo bisogno di togliere i bastoni dalle ruote di chi fa, di chi vuol fare e rischia.
Affinché ciò possa prodursi e continuare a realizzarsi c’è una condizione unica non negoziabile: salvare le aziende dalla demolizione della politica. Dobbiamo tornare a insegnare, spiegare l’essenziale (nemmeno nei grandi atenei non lo fanno più!). Lo diceva già nel lontanissimo 13 settembre 1970 Milton Friedman in un famoso articolo sul New York Times Magazine. L’azienda esiste e agisce, nel rispetto delle regole, solo e soltanto per tre scopi: primo, soddisfare i bisogni materiali dei consumatori; secondo, produrre profitto per i proprietari e terzo, distribuire salari a chi merita.
Il primo scopo è il modo più evoluto per mantenere la pace tra chi ha e chi vorrebbe avere; il secondo è il modo più evoluto per premiare chi rischia e investe; ma anche per far partecipi al successo, milioni di cittadini tramite fisco e ridistribuzione; il terzo è il modo più dignitoso per valorizzare la persona, l’impegno e il lavoro umano. L’azienda è il motore del nostro benessere individuale e della nostra prosperità collettiva. L’errore più colossale che stiamo facendo è quello di mungerla come una mucca tramite tasse e balzelli e di caricarla come un mulo imponendole per Legge una serie infinita di ruoli e di obblighi che non c’entrano nulla con il suo DNA naturale e i suoi tre scopi fondamentali.
Il Ticino non fa eccezione, lo si nota qua e là nelle direttive del Governo, nei dibattiti in Parlamento e nella moda delle consulenze, nel main stream mediatico. Dall’azienda si pretende ormai imponendole per legge: che si occupi dei neonati fino all’età scolastica (asili nido), che faccia ore di servizi sociali (ente caritativo), che trasporti lavoratori e famigliari gratuitamente (agenzia ambientale), che assuma solo laureati e ingegneri (casta elitaria), che paghi salari senza relazione con ciò che fa (ente filantropico), che assuma chi non ha bisogno (agenzia di collocamento), che sia innovativa per decreto (club statalista esclusivo), che non faccia differenze di merito o altre disuguaglianze (cellula comunista).
Potrei continuare, ma mi fermo. Tutto questo basta per dire che l’invasione dello statalismo, sotto varie forme hard e soft, è ormai visibilissima. E spesso i dibattiti in Parlamento lo mettono bene in risalto. Intendiamoci, le aziende non possono creare diseconomie esterne dannose, ma da qui ad imporle di svolgere compiti di politica statale per legge, ce ne passa. Il miglior rilancio economico non è fatto di buonismi elettorali, di caritative politiche e di condizioni quadro astratte imposte dall’alto, che sono comunque sempre e solo invenzioni artificiali di stampo statalista; e non passerà nemmeno dalla presunzione fatale che la politica, gli eletti e la burocrazia sappiano produrre ricchezza migliore e maggiore di chi lo fa per mestiere. Il miglior rilancio economico è permettere alle aziende di fare le aziende. Basta e avanza.
*Capogruppo UDC e candidato