LUGANO - L’evoluzione demografica negativa che da anni si riscontra in Ticino rischia di avere conseguenze preoccupanti per il mercato del lavoro. Si prevede, nei prossimi dieci, quindici anni, un significativo deficit di manodopera nel nostro Cantone, indipendentemente dall’andamento dell’economia. È quanto emerge da uno studio realizzato dal Dipartimento di economia aziendale, sanità e sociale della Supsi per conto dell’Associazione industrie ticinesi.
“Non nascondiamo una certa preoccupazione – ha detto il presidente di Aiti, Oliviero Pesenti -. Da anni la popolazione non cresce, creando gravi difficoltà non solo al settore industriale, che da tempo fatica a reperire profili qualificati, ma a tutto il mercato del lavoro ticinese”.
Sul mercato del lavoro manca dunque manodopera specializzata. “Non è una questione salariale - ha precisato Pesenti -. Per convincere uno specialista a venire a lavorare in Ticino bisogna mettere sul piatto, oltre a una retribuzione soddisfacente, anche altre condizioni sempre più richieste che ricadono nella sfera della responsabilità sociale d’impresa e dei servizi di welfare aziendale”.
“Nei prossimi 10-15 anni decine di migliaia di persone lasceranno il mondo del lavoro ticinese per raggiunti limiti di età. Sia gli occupati residenti permanenti, sia i frontalieri mostrano un invecchiamento. Le nuove generazioni non sono sufficienti per numero a rimpiazzare chi esce dal mercato”, ha spiegato da parte sua iCarmine Garzia, professore di strategia aziendale e imprenditorialità alla Supsi e autore, con l’economista Edoardo Slerca, del citato studio sul mercato del lavoro.
Di seguito riportiamo i dati emersi dall’analisi della Supsi: “A fine 2020 c’erano 33mila attivi residenti over 55 (quasi 56’500 se si estende l’insieme agli over 50) e quasi 9mila frontalieri over 55 (18mila over 50). E questo in un momento in cui gli occupati hanno ripreso ad aumentare (235mila) dopo che erano scesi tra il 2017 (240mila, il massimo) e il 2020 (233mila). Nel contempo anche il numero delle persone attive hanno cominciato a scendere (175mila nel 2020, contro le 185mila del 2017), mentre le inattive (pensionati, disoccupati e scoraggiati) hanno ricominciato a salire (129mila nel 2020 contro le 120mila del 2017). L’unico sottoinsieme del mercato del lavoro ticinese che è aumentato costantemente negli ultimi 20 anni è quello dei lavoratori frontalieri (32mila nel 2002; 73mila a fine 2021)”.
La Supsi ha inoltre stimato che tra il 2022 e il 2026 entreranno sul mercato del lavoro oltre 28 mila nuovi lavoratori; circa il 40% di essi avrà una formazione universitaria, mentre il 60% di tipo secondario (apprendistato o scuola professionale a tempo pieno). “Nell’arco del quinquennio, considerando solo l’offerta di lavoro locale, vi sarà una scarsità di circa 12 mila lavoratori. Degli oltre 40 mila fabbisogni previsti, a circa il 25% verrà richiesto di possedere un titolo di grado terziario, a più del 40% sarà invece richiesto un titolo secondario, mentre non sarà richiesto alcun titolo particolare al restante 33%”, ha spiegato l’economista Edoardo Slerca.
Il tessuto imprenditoriale faticherà ad assorbire alcune competenze specialistiche, con disallineamenti importanti a livello formativo. In particolare, si prevede una scarsità di professionisti in ambito informatico e pedagogico (circa 600 unità per entrambi) e una carenza di offerta sul fronte dei servizi di assistenza e cura delle persone (quasi 5 mila in meno del necessario).
Secondo il Direttore di Aiti, Stefano Modenini, questo deficit di manodopera si può colmare incentivando l’occupazione femminile, che oggi ha tassi di sottoccupazione tripli rispetto a quelli maschili, e orientando le scelte dei giovani verso professioni che mostrano più capacità di assorbire manodopera.
E ancora, il presidente degli industriali Pesenti pone l’accento sull’importanza di rivedere il sistema scolastico e formativo ticinese: “La cultura tecnologica dovrebbe rivestire un ruolo di primo piano sin dalla scuola dell’obbligo. L’analisi della Supsi fornisce una chiara idea dei profili professionali richiesti nei prossimi anni, le autorità cantonali e le organizzazioni professionali potrebbero trarre spunto da queste indicazioni per riformare il sistema scolastico”.