Cronaca
26.02.2016 - 12:120
Aggiornamento: 21.01.2022 - 14:40
Residenti e frontalieri in piazza insieme? «Evitiamo una guerra fra poveri»
Giulia Giovanna Zamborlin sta organizzando per fine marzo un Ticinoday. «Le grandi conquiste si sono ottenute mobilitandosi. Non ci sono grandi politici...»
MILANO - La mobilitazione di piazza, dei lavoratori, non importa se residenti o frontalieri, per portare all'attenzione dell'opinione pubblica, delle istituzioni e della politica, le problematiche del mondo del lavoro ticinese. Dopo essere stata parte dell'organizzazione del riuscito Frontaday, Giulia Giovanna Zamborlin non si ferma e sta preparando per fine marzo un Ticinoday, a Bellinzona.
Che cosa rivendicherete nella manifestazione?«Sarà una manifestazione senza alcun riferimento politico ma esclusivamente dei lavoratori e per i lavoratori senza alcun altro fine o interesse se non parificare gli interessi ed il valore dell'economia e dell'imprenditoria ai diritti dei lavoratori. I problemi che vogliamo mettere sotto la lente sono molti: la mancanza di regole imposte legalmente, la disparità, lo sfruttamento e le decurtazioni salariali, i licenziamenti selvaggi, l'aumento di disoccupazione e di persone che ricorrono all'assistenza, i pochi controlli da parte di chi dovrebbe vigilare, l'assenza di contratti collettivi di lavoro in numerosi settori, il minimo salariale troppo basso, la mancanza di uno statuto dei lavoratori, le poche garanzie contrattuali, i pochi permessi retribuiti, gli straordinari non retribuiti e i numerosi casi di mobbing. Il mio intento è migliorare le condizioni lavorative ed unire frontalieri e residenti in una lotta comune per ottenere più correttezza, più trasparenza, più equità e più diritti».
Spesso i frontalieri sono visti come un "ostacolo" dai residenti, visione supportata da una certa parte di politica. Pensa di non avere difficoltà a unirli?«Da quando ho creato il Frontaday ho creato anche il nome Ticinoday, con l'esatta intenzione di trasformalo in evento, possibilmente con lo stesso successo, anzi maggiore, visto il coinvolgimento anche residenti e delle diverse problematiche che subiscono anch'essi. Unirli non è una possibilità ma una naturale conseguenza, ed anche un dovere, se si vuole davvero cambiare lo scenario lavorativo ticinese ed evitare di cadere nei giochi politici che tendono a dividere per poter gestire meglio. Ma da che mondo e mondo è l'unione che dà la forza, e le regole, come nel lavoro come in altri ambiti, devono essere per tutti uguali, secondo un concetto costituzionale che mira all'uguaglianza. Di certo proporre l'incontro fra le due categorie può solo migliorare il dialogo e la presa di coscienza circa le effettive responsabilità della situazione, anche per non cadere nella classica "guerra fra poveri"».
Vuole far scendere i lavoratori in piazza, questo significa che non crede nel dialogo con la politica e con i sindacati?«Altrove, le grandi conquiste a livello di diritti dei lavoratori, sanità pubblica e agevolazioni per l'acquisto della propria casa si sono fatte nelle piazze, nel lontano '68. Allora la politica e le istituzioni sono state messe con la schiena al muro ed hanno legiferato secondo concetti e principi sociali, civili ed etici e non secondo interessi economici. Le conquiste di allora sono ancora leggi e regole di ora. Vero è che qualche conquista la vogliono portar via, ma la gran parte di esse sono ben radicate nel sistema sia a livello di mentalità sia a livello legale. Ma se c'è qualche cosa peggiore di vedersi scippare i diritti è il non averli mai avuti. Ovviamente credo molto di più nel ruolo che devono avere i cittadini in prima persona che alla politica, che da mondo e mondo non ha mai portato un gran che. Specie negli ultimi decenni, nel panorama mondiale, di grandi politici non se ne vedono proprio, anche se ve ne sarebbe davvero bisogno. La Svizzera ha una marcia in più avendo una politica decisionale che parte anche dai cittadini, ma spesso viene ben poco sfruttata per temi davvero realmente importanti. Siamo aperti ai sindacati, che per ora non si sono ancora fatti vivi».
Sempre in difesa dei frontalieri, è stata da poco fondata l'Associazione dei Frontalieri, che punta al dialogo con le istituzioni. Possono essere due vie complementari?«L'Associazione Fontalieri è nata ed stata creata da altre persone esclusivamente per contrastare la nuova tassazione dei frontalieri, che sarà legge a breve, andando a parificare il prelievo fiscale dei 69mila frontalieri ai oltre 30 milioni di lavoratori a tempo indeterminato. È una questione economica, io mi sono invece occupata, da anni, di principi e concetti legati al mondo dei lavoratori in Ticino, delle decurtazioni salariali, che molti frontalieri hanno subito e del blocco delle 13esime, degli inquadramenti approssimativi e delle gravi disparità salariali, introdotte anche per sopperire al nuovo prelievo fiscale italiano, con un sostanzioso adeguamento salariale svizzero, introducendo contratti collettivi per ogni categoria. Il tutto più per questione di concetto che per mero guadagno, sia a corto che a lungo termine ed anche per permettere a chi percepisce salari bassi di tirare una boccata di aria, fatta di aumenti, senso di uguaglianza e di dignità».