Cronaca
17.06.2016 - 10:300
Aggiornamento: 21.01.2022 - 14:40
Tutti contro l'albo. E se fossero penalizzate le ditte ticinesi?
La Camera di Commercio della Svizzera centrale ha scritto al Consiglio di Stato denunciando come la LIA violi il federalismo. Anche l'Italia è convinta che ci siano i margini per un ricorso
BELLINZONA - L'albo dei padroncini potrebbe finire per creare problemi alle ditte ticinesi. Anche il Consiglio di Stato si è detto convinto, per bocca di Paolo Beltraminelli, che servono ulteriori approfondimenti perché il rischio è che «siano gli unici ad essere assoggettati alla legge. C’è stata una grande fretta nel volerla introdurre, voluta da un’iniziativa e con una pressione da parte del mondo economico ticinese. Ora queste verifiche diranno se saranno necessari dei cambiamenti o se la legge andrà bene così»
La legge è messa sotto attacco sia da parte italiana che da quella svizzera. È notizia di ieri, riportata dalla RSI, che la Camera di commercio della Svizzera centrale, con una missiva al Governo, ha minacciato di adire alle vie legali. La LIA, infatti, violerebbe la legge del mercato interno, secondo cui per ogni persona residente in Svizzera l’accesso libero e non discriminato al mercato del lavoro. La legge obbligherebbe chiunque vuole venire a lavorare nel nostro Cantone a registrarsi. Sarebbe dunque contraria al federalismo, quindi viene chiesto al Ticino di fare un passo indietro.
Anche dal fronte italiano sono pronti ad attaccare, sostenendo che l'albo viola Accordi bilaterali che non possono essere disconosciuti da una legge cantonale. «Sussistono gli estremi per una procedura di infrazione nei confronti della Svizzera in quanto la LIA viola gli Accordi bilaterali in materia di riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali e libera prestazione delle imprese», ha dichiarato Vieri Ceriani, capo della Delegazione italiana nelle trattative fiscali tra Italia e Svizzera, secondo cui «ci sono ampi margini per un ricorso delle associazioni di categoria». Sinora l'Italia non si era mossa perché attende un parere dalla Commissione europea.