Cronaca
26.09.2016 - 12:330
Aggiornamento: 21.01.2022 - 14:40
I giornali italiani unanimi. «Un voto contro i nostri lavoratori, e anche contro i rapporti di buon vicinato»
Media nazionali e locali si occupano del voto, sottolineandone la difficoltà di applicazione. «Come si fa a dire che gli italiani rubano il lavoro?». «Ticino, un mondo che si chiude a riccio»
COMO - Anche i media italiani non potevano non chinarsi sull'esito della votazione riguardante "Prima i nostri", i suoi effetti, i rapporti fra Italia e Svizzera e, non ultimo, l'applicabilità di quanto votato.
Repubblica scrive che «il Canton Ticino ha dato un nuovo duro segnale di insofferenza, nei confronti degli immigrati, segnatamente dei frontalieri italiani, approvando, oggi, l'articolo costituzionale "Prima I nostri", che invita a privilegiare, nelle assunzioni, la manodopera indigena», un voto inteso come "un bel no alla libera circolazione delle persone, peraltro già bocciata, dalla maggioranza degli svizzeri, il 9 febbraio di due anni fa ma, finora, rimasta inattuata, per la difficoltà di rinegoziare un accordo con Bruxelles. Il che, verosimilmente, succederà, pure, con l'articolo costituzionale "Prima I nostri". Anche perché, dopo Brexit, l'UE ha messo, ulteriormente in lista d'attesa, il dossier elvetico».
Il
Corriere della Sera parla di un voto «più politico che pratico. Il senso politico del risultato è l’insofferenza dell’elettorato ticinese nei confronti della crescente presenza di lavoratori provenienti dall’Italia (circa 62 mila) nel Cantone. I pendolari provenienti da Lombardia e Piemonte che quotidianamente varcano il confine sono accusati di provocare un fenomeno di ribasso generalizzato dei salari».
Il quotidiano è comunque convinto che non cambierà nulla, e che i dati sull'andamento dell'economia ticinese smentiscano l'allarmismo che gli italiani rubino il lavoro. «La vittoria del sì non avrà comunque effetti pratici sul destino dei lavoratori italiani. In Svizzera, infatti, le leggi in materia di lavoro sono di competenza del governo centrale, non dei Cantoni; dunque dal Ticino è partito al massimo un messaggio di natura politica rivolto a Berna. Qui in settimana, tra l’altro, è stato votato un provvedimento piuttosto vago che prova a concedere una corsia preferenziale ai cittadini elvetici nell’assegnazione dei posti di lavoro, senza tuttavia suscitare le ire della Ue, con la quale gli elvetici hanno sottoscritto un accordo di libera circolazione. L’altro fattore che svuota di senso il referendum sono i dati economici: anche ad agosto il tasso di disoccupazione in Ticino si è attestato al 3,1%; dunque che gli italiani «rubino il lavoro» ai residenti appare una tesi non facile da sostenere».
Per parlare di quanto votato, è stato intervistato
Paolo Bernasconi, il quale ha detto convinto: «È in atto uno scollamento tra ciò che fanno i partiti e quello che accade nel mondo dell’economia. Le imprese ticinesi chiamano ogni giorno dall’Italia 62 mila lavoratori, senza i quali il sistema manifatturiero, la sanità, il commercio chiuderebbero dalla sera alla mattina. E questi cosa fanno? Votano per rimandarli indietro. La realtà è che i frontalieri sono indispensabili alla nostra economia».
Quanto votato è a suo avviso inapplicabile, perché contrario alla costituzione, e perché farebbe prevalere un criterio di residenza e non di merito. «Si tratta di una questione strettamente politica, di un gioco di potere. L’UDC e la Lega dei Ticinesi stanno tentando di scalzare le élite economiche rappresentate dai partiti storici e allora devono inventarsi qualcosa. Che cosa? La paura, la paura da scaricare su un nemico a portata di mano. E a questo scopo sono venuti buoni i lavoratori italiani», aggiunge.
Analoghi i concetti espressi da
Il Giorno. A Berna, viene sostenuto, «hanno molta paura dell’effetto che potrebbe avere, nei rapporti con l’UE, fare marcia indietro sulla libera circolazione dei lavoratori contenuta negli accordi di Schengen, ai quali la Svizzera ha aderito per poter contare sulla circolazione delle merci e del credito. L’equazione è semplice: se chiudete le frontiere ai lavoratori stranieri scordatevi la disapplicazione dei dazi sulle merci e la parità di trattamento sulle banche. Un bene per la Confederazione e un male per il Canton Ticino, dove i partiti populisti hanno avuto gioco fin troppo facile negli ultimi anni a far passare il concetto che la colpa della disoccupazione, che da queste parti è inferiore al 4%, sono proprio i lavoratori italiani».
Viene sottolineato come l'esercito di lavoratori italiani sia pagato meno, e come dopo il 9 febbraio «gli elettori non hanno fatto altro che cogliere la palla al balzo per esprimere il loro malcontento contro gli italiani. Uno sfogo destinato a rimanere tale visto che senza i frontalieri, che rappresentano un quarto della forza lavoro in Canton Ticino, cantieri, fabbriche, ospedali e uffici sono destinati a fermarsi».
Della questione si occupano, ovviamente, i mezzi di informazione della fascia da cui proviene la maggior parte dei frontaliere.
Varese News riporta un'intervista al sindacalista Andrea Puglia, che spiega come il voto di ieri sia solo «un’indicazione a Berna su come muoversi in materia di libera circolazione delle persone. Ma per Berna quello che pensa il Ticino non è certo una novità. L’ipotesi di dare la precedenza ai residenti per le assunzioni è del tutto contraria all’Accordo sulla libera circolazione delle persone, il quale è stato approvato a livello federale dai cittadini svizzeri e riconfermato più e più volte in altrettante votazioni». Insomma, i frontalieri possono stare tranquilli, come ha confermato allo stesso media anche Aureli di UNIA.
Un duro attacco arriva dalla Provincia di Como, che si lancia in un'analisi delle conseguenze del voto. «Di certo, quello di ieri è un voto contro i nostri lavoratori (25mila i comaschi), contro l’Europa (rea di non aver consentito l’applicazione del referendum del 9 febbraio 2014 “contro l’immigrazione di massa”) e contro i rapporti di buon vicinato, forse definitivamente compromessi. Resta il fatto che ora si apre un nuovo fronte nei rapporti Ticino-Italia e Ticino-Berna. Le competenze in materia di lavoro spettano proprio a Berna, che nel cassetto ha dal 9 febbraio 2014 il faldone del referendum “contro l’immigrazione di massa”. Dunque, di fatto il voto di ieri ha sicuramente un valore politico rilevante, ma non ha possibilità dirette di applicazioni pratiche»".
Sulla
Pre Alpina, l'editoriale loda la possibilità di decidere del popolo svizzero, e per commentare cita spesso e volentieri Kant. «L’esito del referendum ticinese può essere allora letto proprio all’interno di questa impostazione: sul piano pratico, attinente il mondo della prassi che ci coinvolge tutti, è infatti ben comprensibile come una popolazione costretta a convivere con la disoccupazione (soprattutto dei più giovani) non possa che preferire di tutelare, in primo luogo, i propri concittadini: prima di dare un posto di lavoro ad uno straniero è meglio tutelare il proprio concittadino che condivide, con gli altri concittadini, un pregiudiziale legame di appartenenza ad un unico stato. Ergo, l’emanazione di una legge in grado di tutelare, in prima istanza, i cittadini appartenenti a quello stato, non può apparire che come una logica conseguenza, del tutto scontata».
Però, «sul piano teoretico dei rapporti internazionali la scelta operata dalla popolazione ticinese configura invece un mondo che si chiude a riccio in se stesso, contando solo sulle proprie forze e sulle proprie risorse. Il che risulta essere in clamoroso contrasto con lo sviluppo dell’intera modernità che ha invece registrato, storicamente, un sempre più ampio scambio internazionale (non solo di merci, ma anche di uomini e di idee)».