BELLINZONA – Quattro morti in una settimana in incidenti in montagna, diversi feriti gravi. Una tragica fatalità oppure ci sono delle cause? Cosa si può fare? Ne abbiamo discusso con Raffaele Demaldi della Polizia Cantonale.
Possiamo parlare di annata disastrosa o è un termine troppo forte?
“Non mi piace molto, cercherei un’altra parola. Drammatica? Sì, si può dire così, con quattro persone decedute in pochi giorni e ferimenti gravi”.
Come lo spieghiamo?
“Scindiamo prima di tutto le varie categorie: cercatori di funghi, escursionisti, alpinisti e cacciatori. Il cacciatore di funghi è colui che probabilmente non si allena mai durante l’anno, quando è stagione va nei boschi ma non ha messo gli scarpone da mesi. Può accadere la disgrazia, si può cadere, si muove con attenzione, lentamente, guardando dove si cammina però spesso chi cerca i funghi esce dal sentiero e fatica a ritrovarlo, concentrato com’è nella ricerca non guarda dove va e trovare punti di riferimento non è sempre scontato”.
Degli escursionisti cosa ci dice?
“Di regola dovrebbero allenarsi anche loro, prepararsi. Devono guardare la cartina, decidere dove andare e prestare attenzione ai pericoli oggettivi della montagna, al sasso che si muove sotto i piedi, ai riali dove il sasso è scivoloso, al nevaio da cui a inizio estate passa il sentiero”.
Invece cosa deve fare un alpinista?
“È una categoria a sé, perché oltre a conoscere tutto quanto abbiamo detto sinora deve possedere l’aspetto tecnico. Ci sono la picozza, i ramponi, l’arrampicata, ci si muove su terreni sassosi, su nevai e su ghiacciai, i sentieri sono indicati dalla cartina però sono coperti magari dalla neve o da una frana. Devono essere capaci di arrampicarsi, di disarrampicarsi, di usare le mani”.
Ogni categoria deve essere dunque preparata. Gli incidenti possono dipendere dalla poca preparazione?
“Essa è fondamentale, e non è solo allenamento fisico, bensì anche camminare durante l’anno su terreni non pianeggianti. Ci vuole un equilibrio diverso, siamo abituati all’asfalto, non al sottobosco che cambia a seconda delle piante, dai faggi ai larici. Basta una piccola disattenzione, un sacco, per cadere”.
Aumenta la gente che va in montagna, il maggior numero di incidenti è conseguente?
“Questo si vede, pensiamo al Cervino, tantissime persone salgono dalla parte italiana. Più aumenta il numero più crescono gli incidenti. C’è poi l’abitudine di usare le scarpe da trekking leggere, quelle per il trail in montagna: scivolano molto di più rispetto a uno scarpone. In teoria, chi le usa si allena, ammetto che sono comode, però non tengono riparata la caviglia, ci si può slogare e dunque arrivare alla caduta. Appunto, bisogna prepararsi, non attendere che arrivino i funghi per tirar fuori gli scarponi!”.
Vi sono molte pubblicità turistiche sulle montagne, che potrebbero far sembrare gite e escursioni facili e alla portata di tutti. È possibile che abbiano cambiato l’immagine collettiva?
“È probabile anche questo. La montagna è bello, la gente che ci va è aumentata, ma ci va senza pensare, informarsi e prepararsi”.
La Polizia fa prevenzione, si può fare altro?
“Abbiamo preparato dei volantini, in estate, in inverno, non aspettiamo gli incidenti per muoverci, la nostra prevenzione è arrivata prima. Ora poi ci sarà la caccia e temo che qualche incidente arriverà. A mio avviso non si può fare altro, se si esagera con la prevenzione o si mettono dei divieti, non viene più guardata, servono campagne mirate e non va bene generalizzare”.
E per quanto concerne i soccorsi? Si sta facendo il massimo?
“Sicuramente sì. Però sono convinto di una cosa, che venne detta anche da un importante soccorritore vallesano. La gente ha troppa fiducia nei soccorsi, pensa ‘se mi faccio male viene la Rega a prendermi’. Questo soccorritore vallesano alla domanda ‘cosa si può fare per diminuire gli incidenti?’ come battuta rispose ‘togliere i soccorsi’. Si pensa che avendo il telefonino la Rega li trova. Magari poi il cellulare è scarico, lo perdono cadendo o lo rompono, e sono persi. Non si può pensare che la salvezza è basata sul soccorso, deve essere basata sulle proprie gambe, bisogna poter tornare a casa. Ovviamente in caso di bisogno i soccorsi ci sono, però quel ragionamento non va bene. Così si mette anche a rischio la vita dei soccorritori oltre a far aumentare di molto i costi. Va detto che alcuni feriti non sono mai stati trovati, la cosa più brutta per i familiari ma anche per noi: non ci si abitua mai ad andare a soccorrere e non riuscire a salvare una persona”.