BELLINZONA – Telefono Amico, ovvero il 143 per persone che hanno bisogno di confidarsi, cerca volontari. Abbiamo approfittato della richiesta per parlare con Claudia Cattaneo Rossi, Responsabile Pubbliche Relazioni di Telefono Amico Ticino e Grigioni Italiano, per capire come funziona il servizio e chi vi si rivolge.
Possiamo fare un bilancio del 2018?
“Sicuramente non è un servizio che va a diminuire, c’è ancora il bisogno di parlare, malgrado la tecnologia che ci gira attorno la parola è ancora importante. E nell’ultimo mese, con le festività, abbiamo avuto tante chiamate, con la tematica principale della solitudine, sia fisica sia nel problema che si vive in quel momento. Si rivolgono a noi principalmente persone tra i 40 e i 60 anni, in particolare donne, più portate a parlare di emozioni, ma negli ultimi due anni sono aumentati gli uomini”.
Chi è solo fisicamente vi chiama in una festività come Natale, cosa vi chiede?
“Per avere supporto, anche per condividere il momento. Per esempio abitano soli, la famiglia è lontana, non hanno nessuno, vivono in un condominio ma i vicini sono via. Chiamano per tristezza, la loro è una solitudine triste. Cosa diciamo loro? Il nostro aiuto è nell’esserci, nell’avere la disponibilità di una risposta. Chi fa il 143 sa che qualcuno risponde, è già una garanzia. Diamo accoglienza e ascolto nella sofferenza dell’altro. Abbiamo anche un servizio chat, rivolto alla fascia più giovanile: non è parola ma scrittura, è diverso perché con la voce ci sono dei silenzi lunghi, c’è il pianto, ci sono le vibrazioni. La chat non è attiva 24 ore su 24 però, c’è un calendario nel sito”.
Parlava di solitudine nel problema: intende che una persona non condivide quel che vive con chi gli sta a fianco?
“Sì, per vari motivi. Magari è un problema ritenuto banale ma per lui è enorme, oppure che chi gli sta a fianco dia un giudizio e lui non vuole sentirsi dire ‘dai che passa’. Queste persone non hanno il coraggio di dire ‘ho questo problema ed è inutile che tu mi dica che passa tutto’. Noi garantiamo l’anonimato a chi chiama e dei volontari, è una garanzia di grande libertà di parola”.
Succede che venite chiamati più volte, per un problema e poi per sentirvi raccontare l’evoluzione?
“Solitamente il problema non si risolve in una chiamata. Ci si sente più volte, la persona ci pensa, fa dei ragionamenti. Noi conduciamo le persone a risolvere la tematica alla loro maniera, serve una crescita loro. Cosa intendo? Faccio un esempio pratico. Devo prendere il treno per andare a Zurigo, non l’ho mai fatto, ma nevica e ho paura della neve. Mi vergogno del fatto di non essere capace di prendere il treno, cosa faccio, a chi lo dico? Il condurre alla sua soluzione è cercare di trovare quella migliore per la persona che sta chiamando per come risolvere il problema. Non dobbiamo mai banalizzare, come purtroppo si fa spesso, per questo poi chiamano il 143. Non è una solitudine come quella di cui parlavamo prima, ma nel problema. Si ha vergogna a mostrarsi deboli e si ritiene che chi ti sta attorno non capisce che è una difficoltà. Tenderà a dire ‘ma che problemi ti fai’, ‘guarda in Internet’. Certo, se la soluzione fosse quella sarebbe già stata fatto! Noi non diamo risposte simili”.
Quali sono le tematiche maggiori per cui vi chiamano?
“Come dicevamo la solitudine, poi disturbi psichici, persone che non stanno bene (che comunque di solito sono seguiti dal punto di vista terapeutico, da noi cercano qualcosa in più), che magari sono a casa disoccupate o con altre problematiche, il che fa rientrare nella solitudine perché porta a sentirsi soli. C’è poi la gestione del quotidiano, oltre a problemi relazionali e di coppia: l’essere umano è un mammifero socievole, se mancano esse cade tutto quello che è umano e si torna nella solitudine”.
Suggerite di parlare con le persone vicine?
“Chiediamo, per esempio, ‘ne ha parlato con…?’. E ci viene risposto ‘ci ho provato ma non mi sono sentito accolto, aiutato, capito’. C’è mancanza di empatia e comprensione da parte di chi sta a fianco, però siamo in un mondo fatto così, dove l’empatia stessa non viene usata 24 ore al giorno con tutti. Il nostro corso di formazione per volontari va a spiegare questo e a farti avere una visione diversa”.
Sarebbe stata la prossima domanda: che persone cercate e che formazione devono fare?
“Gente che ha voglia di dare del tempo, che dona al servizio ma anche a sé stessa, è un cammino che apre delle porte che altrimenti restano chiuse, fa evolvere. La formazione ti porta a usare le orecchie in un altro modo e inevitabilmente si impara a ascoltare diversamente, è un regalo che ci facciamo: dai qualcosa e ricevi tanto. Al momento abbiamo 37 volontari, c’è chi è con noi da anni, c’è anche chi resta meno per motivi personali. Dopo il corso c’è un obbligo di permanenza per due anni. Per formarsi servono tre fine settimana di teoria, poi si fanno degli ascolti passivi, ovvero sentendo altri volontari che stanno facendo il turno per capire cosa succede. Infine, il candidato farà 10 turni attivi, col formatore che rimarrà in ascolto”.