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Cronaca
11.09.2019 - 15:570
Aggiornamento: 21.01.2022 - 14:40

New York, 18 anni dopo. "Un mal di testa mi salvò la vita. In America non mostrano le persone intrappolate nelle Torri"

Il ricordo di un turista italiano: "Il giorno prima scattai una foto dello skyline, per l'ultima volta. Ricordo le migliaia di persone in giacca e cravatta che risalivano verso Nord. C'erano veglie, si cantava l'inno, si piangeva"

NEW YORK – Ci sono quei giorni che restano impressi nella memoria, tanto che ad anni di distanza ci si ricorda cosa si stava facendo in quel preciso istante. Per esempio, chi ha scordato dove era e che attività stava svolgendo quando ci furono gli attentati alle Torri Gemelle, esattamente 18 anni fa come oggi? Quasi nessuno.

E tanto meno chi lì rischiò la vita e si salvò per miracolo, come un italiano che racconta la sua esperienza, ancora nitida come se fosse appena successa, a msn.ch. Doveva visitare le Torri Gemelle proprio quella mattina, ma all’ora stabilita era a casa dell’amico che lo ospitava col mal di testa. "È incredibile, ho ancora nelle orecchie le sirene delle ambulanze. Eravamo nella 64ma, lontano dall'attacco, ma in una zona di ospedali. Non sapevamo ancora cosa fosse successo, ma ricordo questo via vai incessante di ambulanze”.

Lo shock a sapere che le Torri Gemelle non c’erano più fu forte, pensando a dov’era il giorno prima… "Il mio ricordo parte dalla foto che scattai il giorno prima allo skyline dal Manhattan Bridge: era il 10 settembre intorno alle 15, ero arrivato da poche ore e giravo da solo anche se il tempo minacciava un uragano, che subito dopo lo scatto arrivò. Ma immortalai per l'ultima volta le Torri Gemelle ancora in piedi”.

Nonostante dall’Italia i parenti gli chiedessero, spaventati, di rientrare, lui non lo fece. Trascorse due settimane a New York, non in zona Ground Zero perché non era possibile, ma andando spesso, con migliaia di altre persone, a Central Park. “Si sobbalzava a ogni passaggio di aereo. Erano quelli militari, perché sulla città c'era il divieto di sorvolo, ma tutti eravamo in egual misura terrorizzati: la morte e la distruzione erano arrivati dal cielo. Per due giorni non c'era traccia di taxi e dei tassisti pakistani: temevano vendette. Ho seguito maratone di diritte Tv e una cosa ricordo perfettamente: solo in Italia sono state mostrate le immagini dei disperati rinchiusi nelle Torri colpite che si gettavano dalla finestra. All'America l'informazione risparmiò in quei giorni altro dolore. D'altronde il clima era cambiato: i locali dove fino alla sera prima anche noi avevamo fatto festa non erano più gli stessi perché la gente non era più la stessa. Parlavo con i miei coetanei e tutti mi dicevano: 'La mia vita è segnata. Ho perso un parente, ho perso un amico'. Una tragedia immane".

Nella sua mente ci sono inesorabili le immagini di “migliaia di persone in giacca e cravatta, in cammino, risalire da Manhattan verso Nord”, pochi minuti dopo l’attacco. “C'era un clima surreale. Intorno a noi silenzio e nessuna auto: sembrava una città fantasma. Dov'era finita la frenesia della metropoli che avevo conosciuto il giorno prima? Ora era un misto di incredulità e dolore. Per giorni, ricordo, spuntavano veglie spontanee di preghiera ad ogni angolo, si respirava tanto patriottismo, si cantava l'inno e si piangeva”. 

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