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Cronaca
02.04.2020 - 14:400

Dopo giorni di attesa, arriva un cuore. Il Coronavirus vissuto da vicino

Un'amica ha contratto il virus e ha passato giornate intubata: noi in attesa di notizie dalla famiglia, fino al sospiro di sollievo. E la malattia è diventata tremendamente reale

LUGANO - A volte un cuore, un semplice cuore rosso che sembra palpitare dallo schermo, è il messaggio più bello, capace di cambiare la giornata.

Di Coronavirus ho cominciato a scrivere quando si è avuto il primo caso, anche prima. Ho seguito l’evoluzione dei numeri, ho trascritto le parole delle conferenze stampa, ma è vero che qualcosa non è reale fino al momento in cui ti tocca da vicino. Ci si pensa immortali, che a noi non toccherà mai.

Fino a quando a essere stata ricoverata, con positività al Covid, non è stata una mia amica. Non una persona di una fascia a rischio, bensì una persona sana di 29 anni. Tosse e febbre l’aveva da un po’, tanto che l’avevano già sottoposta al tampone, forse durante uno dei primi giorni in cui di Coronavirus si parlava anche in Ticino: tutto negativo. Eppure il malessere non passava, fino alla positività.

E l’epidemia ha assunto un’altra dimensione. Non solo ci stava portando via le libertà e cambiando le vite, ma metteva a rischio una persona amica. Nel gruppo con cui usciamo, ci troviamo per cene e aperitivi (anche se io purtroppo sono poco presente, sempre comunque accolta a braccia aperte), è sceso il gelo. La paura di un evento più grande di noi ci ha colpito, quando addirittura la nostra amica è stata ricoverata in cure intense.

Se prima poteva almeno scriverci, sebbene fosse brutto sentirci dire che non stava proprio bene, che era stata una giornata difficile, è calato il silenzio. Quello dei sedativi messi in corpo per poterla intubare e aiutare a far passare l’infiammazione e i problemi respiratori. Avere un caro ricoverato di questi tempi, soprattutto col Covid, è dura: niente visite, solo il medico che aggiorna una volta al giorno i familiari, sempre che ci sia tempo nello stress delle lunghe giornate in corsia.

Ogni giorno aspettavamo di avere notizie, riportataci dalla sorella. Ci siamo trovate a discutere di medicina e di concetti che prima erano solo astratti, su cui nemmeno ci eravamo interrogate bene. Senza mai parlare di paura, perché anche se abbiamo imparato il concetto del “tutti per uno, uno per tutti” e dell’essere unite ancor di più, era troppo spaventoso anche accennarlo, dato che probabilmente (non abbiamo i dati certi) la nostra amica era la persona più giovane ricoverata in cure intense. Non tutte noi siamo religiose, eppure diverse sere abbiamo deciso di fissare un’ora comune per recitare una preghiera. 

Sono passati quasi dieci giorni. Per fortuna le notizie hanno iniziato a essere positive. 

Finalmente la nostra amica ha potuto essere staccata dai macchinari, poi anche dal respiratore. In poche ore si è svegliata. Addirittura è riuscita a mandare un saluto in chat, a parlare qualche minuto al telefono. E a me ha inviato quel cuore, una risposta ad un altro mio cuoricino, perché in certi momenti c’è tutto e non c’è niente da dire.

Adesso la sentiamo scherzare nelle conversazioni social. Ci vorrà tempo per stare di nuovo bene, anche per potersi rivedere. Ma in fondo che importa, quando il peggio è passato e la strada, seppur ardua, è meno in salite? Niente, infatti. 

Paola Bernasconi

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