LUGANO - Domani il procuratore generale Andrea Pagani incontrerà la stampa per spiegare le ragioni che lo hanno spinto a prospettare un decreto d’abbandono sul caso della demolizione dell’ex Macello. In attesa delle parole del capo della Procura, oggi sono gli autogestiti a far sentire la loro voce, con un lungo comunicato, dove non vengono risparmiate critiche al vetriolo alle autorità.
“Non ci sorprende", scrivono gli autogestiti, "che il ricorso alla demolizione e all’intervento militare sia stata una decisione presa fin dal primo giorno della costituzione dello Stato Maggiore per gestire l’operazione Papi. Ossia la demolizione materiale dell’autogestione. Ad affermarlo sono le mail inviate il 12.03.2021 tra il vice comandante della polizia di Lugano, Macchi e lo Stato Maggiore, in cui veniva segnalato che, dopo lo sgombero del macello, si sarebbe potuto demolire lo stabile dormitorio degli occupanti. Davvero possibile che i comandanti della polizia cantonale Cocchi e quello della polcom di Lugano Torrente non ne sapessero niente? A emergere è così la netta ed evidente contrapposizione tra la parte poliziesca – che parla della chiara possibilità della demolizione di parte dello stabile, di scontri duri, di possibili feriti e addirittura di morti – e quella politica che, con un candore ipocrita e vigliacco, asserisce di non saperne niente della più volte ipotizzata demolizione”.
“Che ne è ad esempio", prosegue il comunicato, "delle collusioni, delle ambiguità, delle menzogne che emergono come corpi putrefatti da sotto le macerie? E perché squallidi e tristi personaggi – i Gobbi, i Borradori, le Valenzano, i Lombardi, i Foletti, i Bertini – non ci mettono la faccia, assumendosi direttamente la responsabilità del “fine che giustifica i mezzi”, di quello che è stato considerato da più parti come una vile azione fascista? E come è mai possibile ardire una tale trama e continuare imperterriti a mostrare una faccia come il culo e a occupare certe cariche politiche? Eppure la contraddizione assordante non sembra inquietare troppo il procuratore Pagani che, senza mordente, già indica il risultato probabile dell’inchiesta: decreto d’abbandono. Un procuratore – ancora una volta – all’acqua di rose che, di fronte alla scelta di essere messo fuori dai giochi che contano o di rendersi ridicolo di fronte alla popolazione sceglie, in maniera scontata, la via della derisione”.
“Altresì derisorio (anche se tinto da vaghe sfumature inquietanti)", proseguono gli autogestiti, "è che, ancora prima del nuovo interrogatorio a Karin Valenzano Rossi di mercoledì 1 dicembre, il PG già faceva sapere della sua intenzione di pronunciare un decreto d’abbandono. Una procedura decisamente poco seria che, al di là della quasi scontatezza nel cercare d’addossare la responsabilità degli eventi all’elemento più “sacrificabile” – in quanto donna e ultima arrivata – dovrebbe far riflettere sulla credibilità delle così dette istituzioni. Una procedura che si avvicina all’inquietante, nella quale Karin Valenzano Rossi – seguendo alla lettera i consigli del manuale anti-rep – di fronte alle vere domande dell’avvocato Castelli su quanto successo quella notte, si avvale del diritto di non rispondere, rimandando ai suoi precedenti verbali preconfezionati. Ma a risultare ancor più preoccupante è la scelta di non interrogare i massimi vertici della polizia cantonale e comunale (Cocchi e Torrente) e il loro responsabile – il feldmaresciallo Norman Gobbi che solo alcune settimane prima dello sgombero asseriva tranquillamente che fosse per lui, “da leghista, quel posto lo avrebbe sbaraccato già da tempo” – in quanto persone NON a conoscenza dei fatti (sic!!!).
“Insomma", si legge ancora nella nota, "alla luce di tutto, il Commando di facciata dell’operazione Papi (il sedicente Stato Maggiore) prevede un abbattimento illegale di un luogo abitativo con tutte le situazioni critiche del caso, mentre i reali vertici politici e militari della “sicurezza” di questo cantone non ne sanno niente! Ne sono all’oscuro. Non ne sono al corrente. Non approvano. Non battono ciglio. E allora ci chiediamo, chi avrebbe dovuto rispondere di fronte a tutto questo? Il vicecapo della polizia cantonale? Un funzionario della polcom di Lugano? I responsabili delle ditte che hanno proceduto all’abbattimento? L’ex sindaco Borradori, mai tanto abile nell’imbastire menzogne e falsità, che si diceva speranzoso di non vivere in uno stato di polizia? Lombardi che “non ha mai avuto l’impressione di aver compiuto atti penalmente rilevanti quella sera”, salvo essersi dimenticato di chiedere il permesso per la demolizione? O la Valenzano che “si dispiace esser stata tacciata di bugiarda”, mentre viene convocata per la terza volta in procura e si permette di non rispondere? O Foletti che “ancora non sa cosa sia successo quella notte”? Una farsa. Uno stato delle cose perlomeno imbarazzante. Uno sfregio alla tanto decantata democrazia. E la conferma della sua natura ipocrita. O meglio – e ci piace di più – un’enorme presa per il culo”.
“Da parte nostra", termina il comunicato, "la conclusione delle indagini, il nuovo interrogatorio, le relative denunce e l’(im)probabile riapertura dell’inchiesta non ci interessa troppo. Quello che però ci preme rimarcare – una volta di più – è che l’autogestione non si arresta e non arretra. Che non si vende, che non si controlla, che non claudica. E che con questi maldestri faccendieri dell’odio non ha nessuna intenzione di dialogare. Quello che ci preme ribadire è che l’attuale sistema di presunta democrazia non è nient’altro che una farsa, in cui la maggior parte delle sue componenti ha una naturale propensione verso la repressione e il controllo volto – secondo necessità e interessi – all’instaurazione di uno stato di polizia”.