di Claudia Rossi*
Scrivo a te.
Scrivo alla bambina, ai suoi occhi grandi e a quel vuoto che pare divorarla. Lo devi sapere, bisogna che qualcuno te lo dica. Non c’è colpa, non sono capricci. Non è una scelta. È una malattia.
Sono gli anni ’90, vuoi essere vista e speri che nessuno ti noti.
Sei sempre più magra, il freddo lo senti nelle ossa. Credi che nessuno se ne accorga. Ti senti sola.
Come si spiega? Come si racconta questo desiderio di controllo, di libertà, di morte e di vita allo stesso tempo? Non si può.
Arriva un giorno, forse per caso o forse perché era scritto. Fatto sta che l’anoressia ti piomba addosso, si prende la tua anima e tu neanche te ne accorgi. Ti fa sentire forte, anzi onnipotente. E gli altri sono nemici.
Vorrei darti una carezza.
Il mostro presto o tardi smetterà ti avvolgerti dolcemente. Comincerà a stringere. A stringere sempre più forte. Anche se adesso non ci credi. Un giorno vorrai spezzare quelle catene, ma non saprai come. E chi lo sa se è possibile, magari è per sempre.
Scrivo a te.
Alla ragazza che crede di essersi salvata e invece quelle catene le ha ancora tutte addosso.
Scrivo alla giovane che vuole essere la migliore. A te che ti chiudi in bagno e vomiti dolore e paura. Poi esci, vai all’università, a ballare e ti racconti che va tutto bene.
Vorrei abbracciarti e dirti che non è colpa tua. Non sei una codarda, una debole, una privilegiata. Sei malata.
Non è una scelta. Hai provato a liberarti, non ce l’hai fatta. Però puoi imparare a conviverci ti hanno detto. E allora tu fai così: vivi, nonostante tutto. In fondo sei brava a fingere, lo fai da tanto tempo.
Ogni tanto hai paura. Sai che si può morire. A volte l’anoressia è per sempre. Come si spiega questo continuo nascondino con la morte ad un’età dove si dovrebbe solo vivere? Forse non si può.
Scrivo a te.
Scrivo alla giovane donna che è caduta e si è fatta male. Come se quelle ossa che si sbriciolano fossero al mondo da ottant’anni. Invece sono molti di meno.
Ti scrivo mentre piangi e pensi che è normale, anzi che è colpa tua. Prima o poi la vita doveva presentarti il conto. Adesso è tardi.
Hai costruito una vita intera e il mostro è parte di te. Sei adulta, hai il lavoro, un amore, gli amici. Quel vuoto incolmabile è sempre lì, pazienza. Le ossa si rompono ma la recita pubblica regge ancora. Arrivati dove sei, è davvero per sempre. E a spiegare il perché ormai non provi nemmeno più.
Quelle catene vorrei spezzarle io per te.
Scrivo a te.
Alla professionista, alla donna, alla mamma. A te che la sera non riesci a dormire perché sei sicura: se chiudi gli occhi non li riaprirai più. Il cuore che si ferma nel sonno capita a chi per anni ha vissuto come hai fatto tu. E in fondo pensi di essertela cercata, te lo meriti. Vorrei ripeterti che non è colpa tua, ma so che non ci credi più.
Continui ad andare avanti: vivi, lavori e ami. L’illusione però si è spezzata. Non fingi più così bene. Le catene sono diventate tanto strette che fatichi a respirare. Te lo avevo detto che sarebbe successo.
Hai provato a scappare. Hai fallito. E adesso non c’è più tempo.
Non resterà nulla da spiegare, solo pensieri persi nel vento.
Le tue lacrime sono le mie.
Scrivo a te che per tanto tempo hai cercato la morte e un giorno hai capito di voler vivere.
A te che hai visto gli occhi di tuo figlio, la luce del mattino, le carezze del tuo compagno e hai sentito che non doveva finire.
A te che quando non potevi più fingere hai gettato la maschera, ti sei aggrappata a una mano tesa e non l’hai più lasciata. Una nuova strada, l’ennesima cura, l’ultima occasione.
Non ti sei arresa. Hai lottato, sperato e pianto. C’è stato il buio, la fatica e il dolore, poi lentamente l’alba. Il sole si è alzato. Splende da allora e non ha più smesso.
Per chi lo hai fatto? ti chiedono. Rispondi che non lo sai, per tutti e per nessuno, non c’erano alternative. Ma noi sappiamo la verità. Hai combattuto per la bambina dagli occhi grandi, per la ragazza all’università, per la giovane donna con le ossa che si sbriciolano, per la mamma, per la professionista, per la donna. Lo dovevi a tutte loro. Lo hai fatto per te.
Questa lettera la scrivo a te, Claudia, la dedico alle mille volte che sei caduta e ti sei rialzata.
Ci hai messo una vita intera ma hai vinto tu.
E non serve spiegare, non importa più.
*Giornalista TeleTicino - La testimonianza è stata proposta all'interno della trasmissione "21 grammi - Il peso dell'anima": per rivederla clicca qui.