MENDRISIO – Come vive una persona non vedente in Ticino? Cecilia da sempre convive con la sua cecità e afferma la sua voglia di poter fare una vita normale. Spesso a dominare, per lei, è stata la solitudine, perché si ritrovava a essere l’unica persona con quel problema a scuola o nella sua fascia d’età.
Conoscere il tema, di cui negli ultimi anni si parla spesso, in un clima di inclusione e di confronto sulle disabilità, non vuol dire essere in grado di fare veramente da supporto per chi ne soffre. Si pensi all’aiuto: perché dare per scontato che una ragazza non vedente voglia essere aiutata?
Secondo dei dati del 2021, in Svizzera ci sono circa 325mila persone con handicap visivo, di cui si stima che circa 10mila siano cieche.
Cecilia studia, ha appena terminato l’università ed ora è in Ticino presso la sua famiglia. Presto nella sua vita entrerà un cane guida. Per mostrare la sua normalità e gli accorgimenti che adotta giorno dopo giorno nella sua quotidianità, ha aperto un canale Tik Tok. L’abbiamo contattata per farci raccontare cosa vuol dire essere una giovane donna cieca in Ticino.
Quali sono le maggiori difficoltà per una persona cieca (e giovane come te) in Ticino?
“Banalmente, mi sono sempre sentita più o meno l'unica persona non vedente della mia età. Il Ticino è una realtà molto piccola, perciò per confrontarmi con coetanei che avessero la mia stessa disabilità da adolescente mi sono rivolta ad associazioni per non vedenti italiane. Essere l'unica ha anche fatto sì che non ci fossero molti protocolli sull'inclusione a scuola, perciò ho sempre costruito il mio percorso ad hoc, aiutata in questo dalla mia famiglia, dalla mia insegnante di sostegno e dagli insegnanti”.
Come mai hai deciso di aprire un canale dove descrivere la tua quotidianità?
“In realtà ho sempre avuto una grande esigenza di comunicazione. Ho trascorso una discreta parte dell'adolescenza su Internet, e così il desiderio di raccontare le mie passioni e la mia disabilità attraverso uno schermo è sempre stato molto forte. Tik Tok è, a oggi, una delle piattaforme più frequentate dalle giovanissime generazioni, e mi sembra giusto educare proprio chi in futuro avrà più occasione di confrontarsi con la disabilità. Inoltre, sono anni che rispondo sempre alle domande delle persone a proposito della mia cecità, e mi accorgo che la gente si chiede sempre le stesse cose ed è davvero genuinamente curiosa di saperne di più sulla disabilità visiva, perciò mi sembrava doveroso fare divulgazione a modo mio”.
In Ticino si parla abbastanza di cecità o prevalgono ancora pregiudizi e luoghi comuni, oltre che tabù?
“Penso che in Ticino si parli abbastanza di disabilità. In occasoine della Giornata Mondiale del Bastone Bianco, per esempio, vengono sempre realizzati dai media contributi interessanti, e a scuola mi è capitato almeno due volte che persone cieche venissero a parlare agli alunni. Tuttavia, credo si possa fare ancora meglio, specie fra i giovani e nelle scuole, perché bambini e ragazzi hanno seriamente bisogno di entrare in contatto con la disabilità in maniera meno discontinua e più frequente".
Che cosa ti è mancato poter fare, in particolare, nella tua infanzia, nella tua adolescenza e ora?
“Mi è soprattutto mancata la possibilità di praticare attività extrascolastiche sentendomi totalmente inclusa in un gruppo di coetanei. Ho provato a praticare diversi sport, ma o venivo inserita in gruppi di bambini molto più piccoli, oppure non ero realmente seguita e venivo un po' lasciata a me stessa. In alcuni casi, mi è stato addirittura impedito di iscrivermi alle attività in questione, perché gli adulti presenti non volevano assumersi la responsabilità di una bambina non vedente. Soltanto un'insegnante di teatro è riuscita a darmi un'esperienza realmente inclusiva, perché era stata capace di valorizzare la mia personalità senza che la cecità costituisse un limite. Adesso mi manca soprattutto la leggerezza di poter partecipare a un corso senza dover prima specificare che sono non vedente, pianificare nel dettaglio i miei spostamenti e capire in anticipo chi può accompagnarmi, ma credo che questo sarà un problema con cui dovrò convivere per molto tempo ancora”.
A livello lavorativo e scolastico, una persona cieca viene aiutata?
“Sono ancora totalmente immersa nel mondo della scuola, perciò posso rispondere solo a proposito di questo, anche se la prospettiva di trovare un lavoro come persona non vedente mi spaventa non poco. A scuola sono stata affiancata da un'insegnante di sostegno eccezionale, che mi ha insegnato il Braille e ad usare le nuove tecnologie e mi ha supportato per la preparazione dei materiali e durante le lezioni che presentavano più punti critici. All'università a Lugano manca però un servizio disabili vero e proprio, e credo che questo sia un punto fondamentale per l'inclusione delle persone non vedenti nel mondo accademico, specie in una realtà proiettata verso il futuro come l’USI. Ho trascorso due anni a Bologna, dove ho frequentato la laurea specialistica, e lì gli studenti con disabilità venivano assistiti da loro coetanei sia negli spostamenti sia nell'adattamento del materiale, cosa che mi ha permesso di iscrivermi al corso senza dovermi preoccupare un anno prima di reperire i testi, come era accaduto in università a Lugano”.
Cosa vorresti dire a chi ti segue?
“Vorrei dire che la vita di una persona disabile non è definita soltanto dalla propria disabilità. La cecità costituisce una parte importante della mia identità di cui non mi vergogno e che espongo pubblicamente, ma non mi impedisce di avere una vita dinamica, ricca di incontri e di occasioni. Le persone cieche viaggiano, praticano sport, suonano strumenti e hanno relazioni come gli altri, e sebbene la disabilità a volte costituisca un ostacolo, la mia vita non è affatto tragica o particolarmente triste”.
Qual è il modo migliore per aiutarti nella quotidianità?
“Anzitutto, non bisogna dare per scontato che una persona cieca abbia bisogno di aiuto. Spesso mi capita che sconosciuti mi afferrino il braccio e, senza neppure chiedermi dove voglio andare, mi trascinino da qualche parte. So che spesso lo fanno con le migliori intenzioni, ma non è molto rispettoso comportarsi in questo modo, perché anche se a loro sembra il contrario, non ho per forza bisogno di qualcuno che vede per spostarmi. In generale, comunque, bisognerebbe sempre chiedere a una persona non vedente se le occorre di aiuto prima di toccarla, e se la risposta è no, dovete crederle. Inoltre, va tenuto presente che le persone cieche sono adulte, proprio come gli altri, e non si dovrebbe né rivolgersi all'accompagnatore anziché a loro, né attuare comportamenti infantilizzanti, come alzare la voce di due ottave e rallentare le parole. Questa cosa è molto limitante, poiché ci impedisce di avere una conversazione normale con chi ci parla e rende ogni tentativo di comunicare con l'altra persona frustrante”.