“Devo ringraziare dei grandissimi medici, perché è grazie alle loro competenze se oggi esco per l’ennesima volta da un ospedale sulle mie gambe, con la prospettiva di recuperare al 100%. E non importa per tutto il dolore provato e da provare”
LUGANO - “C’è il nostro Cerno che purtroppo si deve fermare ancora una volta ai box per qualche mese a causa di un nuovo contrattempo fisico. Anche se è l’ultima cosa che vorremmo, siamo costretti ad annullare i concerti previsti e già pianificati per l’estate. Chi avesse già acquistato i biglietti in prevendita potrà senz’altro rivolgersi direttamente agli organizzatori, che ringraziamo per la comprensione e l’amicizia”. Una decina di giorni fa, sulla pagina Facebook dei Vad Vuc è apparso questo messaggio. Il leader del gruppo è stato costretto a sospendere l’attività concertistica per motivi di salute. E lui stesso, Michele “Cerno” Carobbio, ha raccontato il perché nelle scorse ore sulla sua bacheca. Titolo del lungo e commovente post: “Vi racconto cosa mi è successo”.
Ecco il racconto di Cerno, che ha suscitato un’ondata di emozione e di solidarietà da parte dei fans dei Vad Vuc e dei suoi moltissimi amici.
“Così come se nulla fosse, durante l’ultima prova prima dei concerti estivi dei Vad Vuc, avverto una dolorosa fitta alla schiena. Sul momento, a quel dolore non ho dato molta importanza perché soffro di frequenti e noiosi mal di schiena. Il giorno dopo, purtroppo, la situazione non era migliorata molto. Mi reco al lavoro normalmente prendendo degli antidolorifici. Nel corso del pomeriggio la cosa inizia a peggiorare: il dolore sembra avvolgere tutta la gabbia toracica (dalla schiena al petto). Un po’ preoccupato decido di contattare il mio medico che mi sprona a recarmi subito al Pronto Soccorso.
Dopo una serie di test, i medici mi comunicano che dalla tac risulta una piccola protuberanza con una “dissezione” dell’aorta. Mi trasportano di corsa al Cardiocentro per capire il da farsi. All’arrivo trovo ad accogliermi diversi medici e cardiochirurghi davanti alla porta d’entrata. Senza perdere tempo mi comunicano che la tac era impietosa: l’aorta si stava rompendo e bisognava intervenire chirurgicamente. Subito. A quel punto mi spavento davvero.
Mi spiegano quindi nel dettaglio il tipo di intervento al quale dovevo sottopormi: era esattamente lo stesso che avevo subìto 16 anni fa. Terribile. Una delle più dolorose esperienze della mia vita. Mentre cerco di ingoiare, come se nulla fosse, quel boccone amaro, il tutto prende velocità e gli infermieri iniziano a prepararmi per l’operazione. Mentre mi rasano il corpo, mi risuonano in testa le parole della canzone Caro Dottore: “mi ricordo pecora senza più peli / mi furono tolti come impuri e infedeli / la doccia forzata e quel tanfo acre / di chi disinfetta anche le parti sacre”. Era un incubo: mai avrei pensato di dover rivivere tutto quanto.
In serata, dopo aver esaminato i miei valori, i medici decidono di darmi una piccola tregua e di tenermi monitorato durante la notte per poi eseguire l’intervento il mattino seguente (forse per lasciarmi pure il tempo di assorbire psicologicamente il colpo). Durante la notte però accade quello che nessuno avrebbe voluto. Malgrado le massicce dosi di calmanti mi sveglio di soprassalto: sento un dolore lancinante al petto, come se mi stessero bruciando vivo da dentro. Chiedo aiuto, mi dimeno sul lettino, urlo. Ho paura. Ho paura di morire. Poi non ricordo altro.
Durante questi anni ho letto molte cose riguardanti l’aneurisma dell’aorta: so che se si rompe, le possibilità di sopravvivenza e di non riportare danni (soprattutto cerebrali) non sono molte, anzi. Ci sono però dei casi in cui succede tutto nel posto giusto e al momento giusto: questo è stato il mio, perché mi trovavo già nella condizione di subire un intervento al cuore, ero al Cardiocentro, ed erano già presenti sul posto i medici che mi avrebbero operato. Il giorno dopo l’intervento, mentre ero ancora intontito, qualcuno di loro mi bisbiglia nell’orecchio: “L’aorta si è rotta, sei un miracolato”.
Non so se sono miracolato o più semplicemente fortunato. Mi rendo conto di essere stato graziato, e soprattutto che devo ringraziare dei grandissimi medici, perché è grazie alle loro competenze se oggi esco per l’ennesima volta da un ospedale sulle mie gambe, senza danni, e con la prospettiva di recuperare al 100%. E non importa per tutto il dolore provato e da provare. Il dolore è solo un lato inevitabile della vita, un lato oscuro che non si dimentica, che marchia a fuoco l’anima, ma che personalmente credo valga la pena di vivere. Forse, la vera bellezza di molte delle persone malate che ho incontrato in questi giorni sta proprio nella capacità di vivere questo lato: vivere il dolore per alzare i propri limiti, viverlo con consapevolezza e rispetto, viverlo imparando a farlo guardare avanti. Come se nulla fosse. E guardate che non è cosa da poco.
Per l’ennesima volta mi tocca ripartire da capo: cure, riabilitazione, ecc. Questa volta però non sono spaventato. Anzi, non vedo l’ora di rimettermi in sesto. Grazie di cuore a tutti quanti, davvero, per i messaggi, l’affetto, i regali e le visite. Ogni volta mi date sempre una spinta fondamentale. Vi voglio un sacco di bene”.