La 'trappola' della luce staccata, lo zucchero nel serbatoio e i pneumatici tagliati. Tutte le vessazioni prima del femminicidio
BOLOGNA – Ci sono la gelosia e l'ossessione sfociati in mobbing e femminicidio dietro la morte di Alessandra Matteuzzi, uccisa a martellate dal compagno calciatore Giovanni Padovani. I giudici convalidano il fermo dell'uomo e aggiungono altri particolari. "Sin dall'inizio della relazione ha adottato comportamenti frutto di desiderio di manipolazione e controllo, tradottisi nella progressiva privazione di margini di libertà", così scrive il gip Andrea Salvatore Romito.
Nelle nove pagine di ordinanza di carcerazione, il magistrato scrive: "Ne controllava i movimenti e le frequentazioni. Manipolava il cellulare e i profili social. Pretendeva, Giovanni, che lei gli mandasse un video ogni dieci minuti in cui comparissero l'ora e il luogo dove si trovava, facendo scenate di gelosia in caso di violazioni". E ancora: "Padovani era in possesso delle password di social e mail per controllare conversazioni con terzi".
Nel dossier vengono riportate anche le assurde 'giustificazioni' di lui. "Sospettavo mi tradisse", ha detto prima di avvalersi della facoltà di non rispondere. Il 22 agosto, il giorno prima del femminicidio, l'uomo aveva staccato la luce di casa, così che lei fosse obbligata a scendere per riaccendere il contatore. Lì si è trovata di fronte al suo ex (la relazione era finita a luglio). Padovani pretendeva giustificazioni sul fatto che la donna avesse aggiunto sui social alcuni compagni di squadra. Quella della luce staccata era solo l'ultima di una serie di vessazioni. In precedenza, infatti, lui aveva inserito dello zucchero nel serbatoio della macchina e tagliato i pneumatici.
Avevano trascorso la giornata insieme i due. Poi, lui "si è sentito usato e manipolato". È rincasato dalla madre, ma poco dopo ha preso il martello per "difendermi dal compagno di sua sorella", l'ha messo in macchina e si è recato sotto casa della ex. Lì, l'ha colpita prima di riempirla di calci e pugni dopo averle scagliato contro una grossa panchina in ferro.