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16.12.2017 - 15:270
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

"Una fiaba con speranza di poesia". Elisa Vecchi e la sua Emma tra realtà e fantasia, "una cosa è reale se l'abbiamo vissuta dentro di noi"

È un'insegnate e ha pubblicato la sua opera, "Il mestiere delle nuvole", con la Flamingo Edizioni. La protagonista è una donna, moglie, madre ed anche bambina, che torna ogni anno in un luogo che ricorda essere casa sua per sistemare segni di un abbandono che non c'è. E il semaforo per un'altra possibilità...

BELLINZONA – Un’insegnate che ha deciso di iniziare a scrivere per dare ordine ai pensieri, e non ha messo un freno alla fantasia, o meglio, quando ha smesso di farlo si è sentita libera di esprimersi e di dare vita al suo romanzo. Che lei definisce una fiaba, perché i personaggi sembrano usciti da un mondo fantastico, dove l’intreccio tra reale e immaginato, presente e passato, non ci abbandona mai.

Elisa Vecchi ha pubblicato con la Flamingo Edizioni “Il mestiere delle nuvole”, e ce ne parla.

Ci parli della sua opera in poche parole: di che cosa tratta? Che genere la definirebbe?
“Spesso e volentieri mi è stato chiesto il genere della mia opera. Ecco la questione è un po’ spinosa perchè quando ho cominciato a scrivere avevo appena terminato di leggere una serie di libri di Buzzati ed ero ancora proiettata in quel magnifico universo senza via d’uscita, un mondo letale e infantile nella stessa parola. Dunque influenzata dai suoi scritti e tendenzialmente proiettata autonomamente verso quel genere ho iniziato a sporcare il foglio senza pensare di catalogare il libro. Oggi, a mente fredda, lo definirei una fiaba con speranza, non certo pretesa, di poesia. La storia si dirama su pochi giorni, anche il flashback è sempre dietro l’angolo per ribadire l’inconsistenza della stessa realtà. Emma, madre, moglie, donna e anche bambina è la protagonista che ogni anno torna al Villaggio dei Portoni Azzurri, luogo che ricorda essere casa sua, per sistemare i segni del tempo e dell’abbandono, che però ogni anno non si presentano. Lei crede fortemente che ancora vi abitino i Nuvolai, persone fuori dall’ordinario, estranee persino da ciò che una mente razionale potrebbe immaginare, uomini e donne che da sempre aiutano gli uomini nelle piccole cose, che alimentano le loro più inconfessabili piccole superstizioni, le cui azioni ricadono sempre sulla vita umana. L’Uomo dei Semafori rallenta o velocizza la venuta del verde permettendo agli uomini di vivere un’altra possibilità, un’altra vita. La signora dei gradini conta i gradini che ogni giorno ciascuno di noi fa di corsa, sempre in ritardo, e se si sbaglia, data l’età, noi inciampiamo rovinando a terra. E via dicendo. Il marito di Emma cerca di riportarla alla realtà, perché a suo dire nulla di ciò esiste davvero e non è mai esistito. Il figlio di Emma, generato dall’inconsistenza del cielo e dalla testardaggine della terra, cammina come sulla Luna, tenendo le mani di entrambi i genitori”.

La protagonista viene descritta come qualcuno "ligio al dovere su cose che... esistono?": in che senso? Qual è il rapporto tra verità, immaginazione e passato nel suo libro?
“Ecco, fin da piccola ho sempre avuto tanta immaginazione, spesso a tal punto da inventarmi storie completamente scollate dalla realtà e finire per crederci. Per questo motivo reputo un dovere ciò che ciascun essere umano deve alla vita reale, un onere necessario ma pur sempre un obbligo, una necessità. Ma ciò che davvero siamo ci si rivela nel momento in cui, di fronte ad una difficoltà, tendiamo a scollegare i nostri sensi e ci affidiamo all’immaginazione. E per forza di cose al passato, che diventa lo scheletro di ciò che creiamo con la sola forza della nostra mente. Per questo la realtà risulta il lavoro dell’uomo, mentre il passato e l’immaginazione tendono ad un universo superiore, non tangibile, qualcosa che schiva ogni legge di questo mondo, qualcosa che ci butta inermi in un’atmosfera senza diritti ne doveri, con un’unica regola, quella di non smettere mai di immaginare”.

Il messaggio che vuole trasmettere è di doverci credere. Si riesce ad applicare realmente, appunto, nella vita reale, o è un mantra? Quanto ha dovuto "crederci" per riuscire a realizzare e veder pubblicato questo libro?
“Ho dovuto crederci indubbiamente con tutta me stessa. E questo non perché non ci sia stata l’occasione di vederlo pubblicato, ma perché il mio inconscio ha dovuto lottare per molto tempo con le regole con cui ognuno di noi vive ogni giorno, le leggi della razionalità. La mia immaginazione in ogni capitolo si scontrava contro il muro della ragione e mi dicevo “no, questo non lo posso scrivere, non ha senso” finché finalmente mi sono liberata di ogni preconcetto e sono riuscita a scrivere tutto d’un fiato ascoltando solo quello che mi dettava la fantasia e in qualche modo la memoria, il ricordo di questo Villaggio che avevo dentro di me, senza averlo mai visto con i miei occhi ovviamente, ma solo con la mente. Essa è capace di creare qualunque cosa. E le nostre opere sono alla fine dei risultati unici, legati a noi, alle nostre esperienze e ai nostri desideri inconsci più di quanto non immaginiamo”.

Scrivere porta spesso in una dimensione di "esiste e non esiste", una sorta di ipnosi: la prova anche lei quando scrive? Cosa la spinge?
“Certo, la provo anche io. Ma a mio parere non bisogna farsi mai la domanda se ciò che stiamo scrivendo esiste o no, perché già solamente il fatto di averla vista dentro di sé, di averla pensata, di averla vissuta in qualche modo, la rende reale tanto quanto le cose tangibili. Chi ci impedisce di dire il contrario?”

La scrittura avrà ancora posto nel suo futuro? Come la rapporta con la professione di insegnante?
“La scrittura è sempre stata la parte fondamentale del mio io. Ora che insegno mi accorgo che ciascuno di noi “scrive” ogni giorno, semplicemente quando raccontiamo qualcosa ad un amico, quando cerchiamo di sviluppare un concetto, quando scegliamo cosa comprare al supermercato, e soprattutto da quale cominciare. C’è chi prova ad applicarvisi scrivendo poesie e poi storie più lunghe e più complesse, come ho fatto io e chi scrive ugualmente senza mai mettere su carta le proprie creazioni. Probabilmente ho iniziato a scrivere quando mi sono resa conto che i miei pensieri erano così disordinati da non riuscire più a contenerli impazziti dentro di me e da lì non ho più smesso. Ora sto scrivendo un secondo romanzo e via via sporcherò il foglio tante altre volte finché i miei pensieri non saranno così ubbidienti da rimanere dentro di me.”.

Elisa Vecchi, “Il mestiere delle nuvole”, Flamingo Edizioni
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