Politica
15.06.2016 - 16:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43
La Nati, «simbolo di un'integrazione riuscita», può puntare ai quarti. «Ma studiate l'inno...»
Alain Bühler lo chiede come questione di principio, Angelo Mordasini dato che lo fanno in molti. I politici ticinesi applaudono l'Islanda, sono pronti a soffrire con la Romania ma pensano che si vincerà
BELLINZONA - Per gli appassionati di calcio, sono giorni intensi. Ieri sera, si è conclusa la prima giornata della fase a gironi dell'Europeo, e oggi scende di nuovo in campo la svizzera. Abbiamo parlato con quattro giovani politici per capire come vivono il campionato, e quanto si sentono rappresentati dalla Nati multietnica. È un problema il fatto che non tutti cantino l'inno? E dove si può arrivare?
Umberto Gatti del PPD ha gradito «la sorpresa dell'Islanda, pareva scontato che il Portogallo vincesse il girone mentre ora è tutto in discussione, e quella dell'Italia, che pareva una Nazionale per una volta destinata a non essere protagonista invece ha dimostrato di esserlo. La Svizzera, per contro, mi è parsa più timorosa di quanto ci si aspettassi. Sono un po' preoccupato, mi auguro si trovi la grinta». Nonostante ciò, è ottimista per stasera. «Si soffrirà come con l'Albania, ma sono fiducioso che si potrà vincere, dico 2-1. Vincendo la qualificazione dovrebbe esserci, speriamo, poi credo che se si dimostra quanto fatto vedere nelle qualificazioni i quarti siano alla portata».
Si riconosce in pieno nella Nazionale multietnica. «La multiculturalità e la multietnicità sono valori che la Svizzera ha, e i giocatori hanno scelto di giocare con i nostri colori. Non cantano l'inno, ed è una loro scelta, però hanno optato per i coloro rossocrociati e sono grati alla nostra nazione, Behrami per esempio lo ripete spesso (anche nell'intervista contenuta nel nostro paper, ndr)».
Fabio Käppeli del PLR è impegnato negli esami universitari, ma compatibilmente con lo studio segue le partite. «Non mi è piaciuta la parte extracalcistica, i disordini che non hanno nulla a che vedere col calcio. Ho apprezzato invece il fatto che le piccole squadre si siano fatte valere. Mi sarei aspettato qualcosina in più dalla Svizzera, con un uomo in più, ma dire che non mi è piaciuta è eccessivo». Per vincere, oggi si deve alzare il ritmo. «Se non lo si fa, difficilmente potremo ambire a più di un pari, temo. Però ho fiducia di mister Vlado Petkovic, che ha fatto parecchia strada da quando allenava nel campetto sotto casa mia, per cui mi lascio sorprendere molto volentieri. Obiettivo? Potremmo arrivare agli ottavi con la Polonia e batterla, a quel punto arrivare ai quarti sarebbe possibile. Con gli incroci, non ci andrebbe male trovare appunto Polonia o Ucraina, ma anche gli ucraini si sono preparati qui in Ticino e con la Germania si sono dimostrati squadra solida».
«Sicuramente la Nazionale è il simbolo di un'integrazione riuscita», prosegue, «e ha fatto piacere vedere tifosi dell'Albania che simpatizzavano anche per noi, così come ragazze con una bandiera dipinta su una guancia e l'altra sull'altra guancia. Da parecchi decenni non cantano l'inno, nulla di nuovo in fondo, può essere un punto in più ma devono giocare a calcio e rappresentare la Svizzera non per forza conoscendo l'inno».
Per il democentrista
Alain Bühler invece è una questione importante. «Mi piacerebbe, proprio perché i giocatori ci rappresentano, che tutti cantassero l'inno. È una mia concezione di rappresentanza. Devono conoscerlo, dato che sono i nostri ambasciatori sportivi attualmente in Francia. Ieri, per esempio, mi ha stupito il Portogallo. Hanno una cultura e una storia diversa, essendo stata una potenza coloniale, ma hanno calciatori dall'Africa o dal Brasile che cantavano tutti, ed anche con passione. Questa pecca si ripresenta puntuale, è un tarlo che mi rimarrà e che ho ormai accettato, ma li manderei a un corso di inno nazionale. Anche per i tifosi a casa riscalda il cuore vederli... poi magari chi critica non conosce neppure le parole, io sì!». Al di là dell'inno, «non faccio un dramma della squadra multietnica, la situazione in Svizzera è questa. Ringrazio che ci siano giocatori di altre origini che giocano, ed anche bene, per noi. Penso al discorso derby con l'Albania, che non mi interessava, perché questa è la compagine che rappresenta la mia nazione. Ovviamente, se avessi visto qualcosa di strano mi sarei arrabbiato. Non siamo più la Svizzera di USA 1994, ma il nostro paese è quello e non vedo un problema, hanno deciso di giocare per la bandiera svizzera. Vorrei vederli crederci, magari cantando appunto».
Ha trovato che «le partite sono state di per sé belle. La Svizzera non mi è piaciuta, ma vedremo stasera. Sono sempre ottimista, poi magari durante la partita il morale va sotto terra. Dove si arriva? Se ce la giochiamo meglio dell'ultima partita abbiamo chance di passare il turno, ma essendo scaramantico non vado oltre».
Si dimostra esperto di calcio il socialista
Angelo Mordasini. «C'è equilibrio, le squadre più deboli stanno facendo bene, penso a Albania e Islanda. Il fatto di far partecipare più compagini ha abbassato il livello ma ne guadagnano lo spettacolo e il divertimento, con quelle più piccole determinate a farsi vedere. Italia-Belgio, per esempio, è stata una bella sfida. L'unica cosa che non mi è piaciuta sono stati gli scontri, che però mi aspettavo. Per me il rischio terrorismo non c'è, perché cercano di colpire a sorpresa e non ricordo quando hanno attaccato una manifestazione con una sorveglianza del genere. L'hooliganismo invece fa parte del gioco, bastano 50 persone per far danni, e la mediatizzazione amplifica tutto».
La Svizzera gli piace, «come squadra perché è giovane e nonostante diverse origini è coesa, l'immagine di quello che dovremmo essere come nazione, perseguono un obiettivo comune. Abbiamo grinta e fantasia, giocatori affermati e altri che devono mettersi in mostra e provare qualcosa, questo mix permette di avere possibilità concrete. Sono un po' un sognatore, e in un Europeo vincere una partita in più o in meno fa un'enorme differenza. I quarti sono sicuramente raggiungibili. Pensiamo alla Grecia di qualche anno fa... ma non esageriamo».
La squadra multietnica non è un problema. «Ho vissuto in Ticino tutta la vita, ho molti amici stranieri, l'impressione del popolo svizzero che ho sempre avuto è di una nazione multiculturale. Ne parlavo con amici albanesi con cui ho visto la partita, la nazione rispecchia, soprattutto nel bene, la Svizzera. Non mi disturba il fatto che non cantino l'inno, ma dato che in molte squadre lo fanno, mi domando se non possano prendersi una mezz'oretta per impararlo... (ride, ndr). Gli italiani, come lo cantavano, trasmettevano un'altra immagini di attaccamento alla maglia. E mi auguro che non sia vero che gli ucraini abbiano dovuto farlo per forza ma che abbiano scelto di farlo loro come segnale».