Politica
07.11.2016 - 18:190
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43
Bernasconi contro Galusero. «Altro che stagione dei canapai bis, la liberalizzazione vorrebbe dire...»
«Solo chi è residente in Ticino e maggiorenne potrebbe avere accesso alla canapa, dunque non ci sarà nessun turismo dall'Italia. E se alcuni fossero più aperti...»", spiega Sinue Bernasconi
BELLINZONA - L'uscita del deputato PLR Giorgio Galusero, già Capo della sezione antidroga della polizia cantonale al Quotidiano, riguardo al fatto che regolamentare la canapa potrebbe voler dire una riapparizione del turismo della droga dall'Italia, con un caos come quello causato dalla "stagione dei canapai", non è piaciuta a chi si batte per questa iniziativa.
«Non è nei piani di chi s’impegno oggi per sviluppare un progetto di regolamentazione riportare il nostro Cantone alla babele che era tra il 1996 e il 2003, quando, a causa di una falla legislativa, il Ticino si guadagnò l’appellativo di “supermercato della cannabis”. Parimenti, non intendiamo liberalizzare il mercato (come fatto da alcuni Stati USA), bensì regolamentarlo rigidamente, in modo da migliorare la prevenzione e proteggere maggiormente i più giovani», scrive in un lungo testo Sinue Bernasconi, membro del Giovani Liberali Radicali e del CIRCA, che spiega che cosa accadrebbe in caso di sì alla proposta, sottoscritta da 34 deputati di vari gruppi politici. «Si opterebbe per una via di mezzo tra la proibizione vigente e la totale liberalizzazione. Come lascia intendere il termine stesso, la regolamentazione ha come obiettivo quello di fare chiarezza. Si definirebbe chi, in quali circostanze e in che misura, ha il diritto di coltivare, vendere e accedere alla cannabis. Insomma, si gestirebbe questa sostanza come già oggi si fa con alcool, tabacco e farmaci».
E «per accedere alla sostanza bisognerebbe soddisfare due criteri: essere maggiorenni e residenti in Ticino. In mancanza di queste condizioni i punti vendita non sarebbero autorizzati a vendere nemmeno un grammo di sostanza. Non si tratterebbe quindi di un “Prima i nostri”, come canzonava Galusero, ma di un “Solo i nostri”", così come anche l’ottenimento di una speciale licenza per coltivare e vendere sarebbe subordinato all’adempimento di precisi requisiti». In aggiunta, i luoghi di produzione e distribuzione sarebbero conosciuti dalle autorità e dalle istituzioni, e i controlli sarebbero rigidi.
«Non si tratta di banalizzare il consumo di cannabis, ma di trovare la miglior soluzione a un problema reale, rinunciando agli alibi dell’ideologia e della morale per giustificare l’immobilismo politico», prosegue Bernasconi. E vi sono esponenti dell'apparato dell’apparato repressivo-giudiziario che in altri cantoni caldeggiano la liberalizzazione. «Se anche i ticinesi rinunciassero allo sterile approccio ideologico e moralista potremmo pure noi – accodandoci a Basilea, Ginevra, Berna, Losanna, Neuchâtel, Bienne, Winterthur e Lucerna – allestire un progetto pilota per contrastare i gravi problemi di salute pubblica legati alla cannabis contaminata, sintetica e con eccessivo tenore di THC. Parallelamente, si potrebbe studiare l’impatto della regolamentazione sul mercato nero ticinese, sulla sicurezza e sulla vivibilità dei quartieri sensibili nonché sul consumo nei luoghi pubblici. La valutazione scientifica che ne conseguirebbe fungerebbe poi, unita alle esperienze delle altre realtà cantonali e comunali, da solida base alle due Camere federali per varare una legge realistica, equilibrata e a beneficio di tutta la società».