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Sanità
27.10.2017 - 09:480
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

"Per una persona che se ne va, cinque possono essere salvate con gli organi". Il professor Martinoli e i donatori, "deve essere chiaro il concetto di morte celebrale"

Quello della donazione degli organi è un tema delicato e dalle mille sfaccettature. "In Ticino le percentuali sono superiori al resto della Svizzera, grazie a informazione e mentalità latina. Se un parente si oppone? La volontà del deceduto dovrebbe essere sacra ma non cerchiamo il conflitto"

BELLINZONA – Ogni anno in Svizzera un  centinaio di persone morte mettono a disposizione i propri organi da trapiantare: un tasso di 13 per milione di abitanti. Il Ticino ha un tasso lievemente superiore: negli anni trascorsi  una media di circa 20 donatori per milione di abitanti, simile a quello della  zona linguistica francofona . E le persone che muoiono senza  ricevere l’organo che aspettavano in lista d’attesa sono una sessantina all’anno. “La maggior parte ha già una salute deteriorata. Ma alcuni sono casi acuti e estemporanei dove l’organo da trapiantare è necessario nel giro di qualche ora o giorno : un’epatite fulminante,  un avvelenamento da funghi che distrugge il fegato o una malattia del cuore improvvisa dove il dono del cuore sano salva la vita”, ci spiega Sebastiano Martinoli.

Il medico chirurgo conosce bene il  tema della donazione degli organi in Ticino.  È stato attivo nel diffondere il  messaggio della scarsità di organi da trapiantare. Sulla scia dell’iniziativa portata avanti da un’organizzazione romanda per rendere donatore chiunque non lasci per iscritto di non volerlo essere,   abbiamo affrontato il tema con lui, toccando motivazioni, sfatando miti e indagando la psicologia di chi riceve.

Parlando con molte persone, i favorevoli sono tanti: un buon segnale?
“I lavori di ricerca ci hanno svelato che più del 70% delle persone è disposto a donare i propri organi. Il  tasso scende un po’ quando si domanda il consenso per quelli di un parente deceduto. I parenti stretti non sanno  o non osano decidere se non c’era una volontà del morto. La percentuale di persone con la tessera di donatore è del 7-8%, come nel resto della Svizzera. Spesso la tessera non si trova. Il messaggio che vogliamo lanciare è di parlarne in famiglia, con gli amici e i conoscenti, manifestare il proprio assenso o dissenso verso il dono dei propri organi in caso di morte”.

Secondo lei, perché si sceglie di donare i propri organi?
“Nel Ticino direi che c’è un’informazione migliore sul tema della scarsità degli organi e sulla possibilità di donare. Abbiamo negli ospedali delle équipes ben formate per porre delicatamente la domanda del dono ai famigliari di una persona deceduta. Abbiamo in proporzione più giornali, radio e reti TV  che ne parlano o scrivono nella nostra zona linguistica che nel resto della Svizzera Forse i nostri  numeri più elevati rispetto al resto della Svizzera sono dati dalla nostra capacità latina di immedesimarci nei drammi degli altri. Lo si vede quando ci sono le raccolte fondi per varie cause”.

Chi invece opta per il no, da cosa è spinto?
“Uno dei motivi è quello della volontà di mantenere  la propria integrità corporea anche dopo la morte. Poi c’è la paura della definizione del momento della morte. Ancora ieri ho trovato una persona che mi ha detto che  darà gli organi ma mi ha anche chiesto se si può essere sicuri che il cervello sia davvero morto. Qualcuno è ancora scettico sulle basi scientifiche della morte celebrale e della sua convalida in cure intense. La maggior parte pensa che dopo la morte non si torna indietro, per cui è disposta  al dono. E importante sapere  che se è constatata la morte celebrale si è morti davvero,  non in coma o in stato vegetativo. Se si spegne il ventilatore che tiene attiva la respirazione,  in 3-4 minuti si ferma il cuore e le  funzioni vitali smettono. Il coma profondo e la morte celebrale sono due cose completamente diverse”.

Quanto è difficile, secondo la sua esperienza, acconsentire alla donazione degli organi di un parente?
“Ci sono dei rifiuti parentali decisi e irremovibili. Ho vissuto l’esperienza di una madre che non ha permesse l’espianto degli organi della figlia . Alcuni parenti si oppongono anche se la persona deceduta aveva disposto per il dono. Noi curanti non andiamo mai in conflitto, si cerca piuttosto di spiegare che se non avviene il dono una o più persone moriranno. Ma qualcuno per motivi religiosi o anche per scarsa cultura scientifica opta per il no. Ricordo una donna che non accettava la costatazione della morte celebrale del figlio. In cure intense lo vedeva ancora roseo in viso, il petto che si alzava e abbassava con l’azione del ventilatore artificiale ,l’elettrocardiogramma ancora presente.  Ci diceva  che era ancora vivo e ci vietò di prendere gli organi”.

In caso di rifiuto, mi è stato detto che volete mantenere  la serenità di chi rimane. Conferma? Cosa succede in quel caso?
“Si deve imparare  come si parla con i congiunti.  Noi facciamo dei corsi di formazione per il personale dell’area critica degli ospedali non solo sulla domanda degli organi. Si deve imparare a comunicare la morte di un congiunto con delicatezza e compassione La domanda brutale è ‘possiamo prendere gli organi?’, ma va fatta con tempi e modi diversi e flessibili, lasciando affiorare dapprima il lutto e poi  facendo notare che con il dono una o più altre persone possono  sopravvivere. I congiunti di un defunto che voleva dare gli organi, se  si oppongono violano la sua volontà che per legge deve essere  accettata, soprattutto se scritta.  Fa parte dei diritti individuali. Si cerca sempre di conciliare e non creare tristezza maggiore. I congiunti devono sapere che per una persona morta cinque  ritrovano nuova vita. Tanti sono gli organi che si possono espiantare".

In diversi dicono che una donazione possa dare un senso ad una morte, è d’accordo?
“C’è il famoso motto ‘non prendere con te gli organi in cielo perché in terra qualcuno può utilizzarli’, e io la penso così”.

Fra i perplessi, c’era chi mi diceva di temere di essere lasciato morire e non curato a dovere perché donatore. Cosa risponde?
“(ride, ndr). Si sente anche quello, è vero. Non fa parte della nostra etica medica che ci impone  di salvare chiunque con ogni mezzo. Nelle cure intense sono molte  le persone coinvolte nella cura di un grave ictus o di un incidente con morte celebrale . E impensabile che sorga una  “mafietta”  criminale che si improvvisa ad affrettare le morti. C’è piuttosto  il rischio opposto, ovvero quello di fare troppo e di tenere in vita biologica persone morenti o gravemente danneggiate nel cervello. Sarebbe utile avere già in vita  il consenso sul non essere disposti a subire cure accanite con esito sfavorevole e residua grave invalidità. Il testamento biologico aiuta il medico nel prendere le decisioni secondo la volontà del paziente”.

Un’altra voce è quella che solo chi è ricco ha accesso agli organi. Falso pure questo?
“In Svizzera , ma anche nel resto dell’Europa, questo non esiste. Ci sono regole etiche  che lo vietano. E le liste d’attesa sono severamente stilate e fatte rispettare da Swisstransplant.  Da noi il trapianto viene eseguito in reparto comune e rimborsato dall’assicurazione”.

Psicologicamente, come vive una persona in attesa di un organo? E dopo averlo ricevuto?
“La vita in attesa di un organo insostituibile  come cuore , polmone,  fegato è piena di ansia. I malati renali alla dialisi aspettano un rene anche 3 anni. Chi attende un cuore, un polmone, un fegato sa  invece che se non arriva l’ organo entro sei mesi muore. Per quanto riguarda le  conseguenze psicologiche dell’accettare un organo trapiantato, esse  sono state talvolta esagerate. Uno scrittore sentiva l’organo trapiantato come un intruso. La maggior parte vive il trapianto come un dono e un gran passo verso la salute. Emerge sempre  la riconoscenza verso il donatore anonimo deceduto e verso la sua famiglia. Le persone trapiantate  che ho conosciuto non si sentivano diverse per avere un altro cuore ma molto riconoscenti nei confronti di chi aveva dato loro una “pompa”  nuova”.


Paola Bernasconi
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