di Elia Frapolli
“Di una città non apprezzi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda”. Questa frase di Italo Calvino, che ho letto di recente, mi ha molto colpito. Inconsapevolmente il grande scrittore, diverse decine di anni fa, aveva già descritto quella che sarebbe stata una delle principali tendenze del turismo di oggi: il viaggio come esperienza trasformativa, introspettiva, prima ancora che come riscoperta di un luogo o di un territorio.
Questo nuovo modo di intendere il viaggio era già in crescita prima della pandemia. Negli ultimi due anni si è aggiunta una consapevolezza maggiore da parte del viaggiatore, la stessa che lo spinge a scegliere e premiare le destinazioni dove le comunità sanno accogliere i turisti in modo inedito.
Il turismo trasformativo rappresenta in un certo senso il terzo livello nell’evoluzione del settore. Abbiamo vissuto, negli anni settanta e ottanta, il turismo di massa, per cui tutti si tendeva a visitare lo stesso luogo, città o stabilimento balneare. Dagli ‘90 il turismo ha iniziato a legarsi al concetto di esperienza, particolare e possibilmente unica. Oggi, invece, vogliamo tornare dalla vacanza in qualche modo “trasformati”. Le possibilità sono molteplici: dai pellegrinaggi ai ritiri in convento in assoluto silenzio, dai corsi di yoga a quelli di meditazione in contesti anche molto diversi tra loro.
Secondo Greg Richards, professore alle università di Breda e di Tilburg e tra i primi a coniare il termine di "turismo trasformativo", occorre prendere atto che è la figura del turista in sé che oggi non è più quella di prima. “Il problema con la maggior parte delle esperienze turistiche è che tendevano a essere piuttosto passive, superficiali e individualizzate. Passeggiavamo per i centri delle città scattando foto o ci mettevamo in spiaggia per prendere il sole. Tutto qui. I turisti, per lo meno la gran parte di loro, semplicemente tendevano a essere molto prevedibili”. Risultato? “Tutti andavano quasi sempre nei posti classici e creavano affollamenti”.
In Ticino diverse persone lungimiranti si sono mosse già da tempo per invertire la tendenza e hanno dato vita a iniziative molto interessanti. Penso, ad esempio, al sentiero dello yoga nel Gambarogno o al progetto Innerwalk, che conduce alla scoperta di sentieri e luoghi energetici con pratiche di danza estatica e meditazione guidata.
Oggi i visitatori, soprattutto quelli provenienti da grandi città, sono disposti anche a “sporcarsi le mani” per capire e vivere a fondo l’atmosfera di un luogo. Vogliono, ad esempio, trascorrere del tempo su un alpe, partecipare alla fienagione o contribuire al restauro di muri a secco. Sono molte le opportunità e le nuove vie che si aprono per gli operatori turistici, in particolare nelle regioni periferiche.
È tempo di riscoprirsi e reinventarsi. Perché il turista di oggi non vuole per forza solcare mari o percorrere lunghe rotte aeree. È un visitatore-esploratore alla ricerca di risposte.