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23.03.2016 - 15:420
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Partiti e persone

di Matteo Quadranti, granconsigliere PLR

Che la democrazia non goda di buona salute è testimoniato dal disagio diffuso oltre che da diverse ricerche. Le ragioni sembrano essere molteplici: il dominio dell’economia sulla politica; lo svuotamento di contenuti a causa della scarsa partecipazione dei cittadini; il rafforzarsi di oligarchie (il governo di pochi); la degenerazione della politica. Il sistema dei partiti fu, a partire dal dopoguerra, per almeno tre decenni, il motore della rinascita democratica, civile e sociale dopo i danni dei vari nazionalismi, fascismi della seconda guerra mondiale. Il miracolo economico che ne seguì– difficilmente ripetibile –, avvicinò forse troppo i poteri economici e quelli politici giungendo ad una certa partitocrazia. Da un paio di decenni, complici i vari nuovi mezzi tecnologici e media (internet e social network) nonché la sovrabbondanza di informazione, si è diffusa l’idea secondo cui i partiti siano morti o destinati a morire potendosi immaginare una forma di “democrazia senza partiti”. Un’idea a dir poco pericolosa, non essendo nota alcuna altra forma di democrazia che non sia la democrazia dei partiti. Alcuni sembrano convinti che la strada della “democrazia del leader” sia possibile, quella dove il popolo vota la persona che appare più o meno carismatica, più o meno credibile, più o meno abile a gestire la comunicazione e la propria immagine. Una tale democrazia si fonda sempre sui partiti ma questi sarebbero partiti “personali” e avrebbero un ruolo decisamente marginale poiché di fatto sono al servizio del leader il quale ha un rapporto diretto col popolo. È il leader che “firma un contratto” col suo popolo promettendogli mari e monti, e comunque salvezza. Il cittadino in realtà resta un consumatore passivo, condizionato dai mass media (a loro volta legati a centri di potere). Se è vero che con la Rete, la possibilità di esprimere la propria opinione è aumentata, in realtà il confronto delle idee, l’interazione e il dialogo reale coll’altro mancano. Ognuno di fatto si fa una propria idea e non la cambia confrontandosi con gli altri. Anzi semmai cerca il contatto solo con quelli che la pensano come lui. Ma questa non è democrazia. Le Costituzioni liberal-democratiche più solide al mondo (USA, Inghilterra, Francia, Svizzera), poggiano tutte su un sistema di partiti, mentre la storia dimostra che ogniqualvolta si è ristretto il ruolo dei partiti ne è seguito un deficit di democrazia. Il rischio non è così lontano se pensiamo ad esempio a certe misure di sicurezza, di ordine pubblico adottate in alcuni Stati per combattere il terrorismo, laddove si instaurano regimi di eccezione, stati di emergenza, che di fatto promettendo sicurezza limitano le libertà. Mantenimento dello stato di paura generalizzato, depoliticizzazione dei cittadini, rinuncia alla certezza del diritto: ecco tre caratteristiche poco rassicuranti. Oggi i partiti vengono percepiti, complici alcuni giornalismi, come il luogo della casta, prima responsabile delle inefficienze e delle insoddisfazioni del cittadino. Ma io credo che, salvo alcune degenerazioni, i partiti non sono il male in sé. Per essi vale quello che Churchill diceva per la democrazia: “È stato detto che è la peggior forma di governo, ma non ne conosco di migliori”. Certo i partiti sono organizzazioni complesse ma esse sono indispensabili perché è in realtà irrealistico pensare che i singoli individui siano capaci di iniziative davvero razionali. Per raggiungere uno scopo, un obiettivo, per fare goal, ci vuole una squadra, un allenatore, una strategia e degli schemi di gioco. I partiti aggregano le domande, propongono soluzioni e indirizzano il voto. I partiti sono certo in via di inevitabile trasformazione. Di sicuro devono a mio avviso tornare ad essere un chiaro riferimento identitario fondato su valori di onesta e non di opportunismo, interesse generale e non carrierismo personale, cultura politica e non improvvisazione, indicatori di visioni e non semplici amministratori del presente, non costretti dall’opinione pubblica a seguire gli stati d’animo del momento, proattivi e non reattivi. I partiti come i politici debbono ricreare il rapporto di fiducia con il cittadino così da poter rendere il loro operare efficace e legittimo, ma anche il cittadino, recuperando il suo ruolo politico, dovrebbe chiedersi se una certa politica, ad esempio populista –in auge negli ultimi decenni – di fatto ha portato ai risultati promessi dai loro leader oppure no. Vi sono stati miglioramenti? Le promesse sono state mantenute oppure si è solo continuato a dare la colpa ad altri per nascondere la propria inconsistenza? Il populismo trova terreno fertile proprio nel cittadino disinteressato, disinformato e semplicemente arrabbiato. I partiti per contro devono tornare a trovare i modi di incontrarsi coi cittadini per mettersi a confronto con esperti e politici, per confrontarsi e trovare soluzioni condivise e non solo frutto di emozioni e mal di pancia. Migliorando questo rapporto reciproco di scambio e fiducia forse ritroveremo l’entusiasmo e la passione da dedicare alla cosa pubblica con il passaggio da un ruolo passivo di elettore a quello attivo di attore della politica in un consesso, a partire da quello comunale dove il contatto con i propri concittadini è più diretto e verificabile senza troppa comodità nel dar la colpa ad altri, spesso lontani.Matteo Quadranti, granconsigliere PLR
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