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15.01.2017 - 16:460
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Riforma III per le imprese: salto con o senza paracadute?

di Lorenzo Quadri

Il prossimo 12 febbraio i cittadini svizzeri dovranno esprimersi sulla cosiddetta “riforma fiscale III per le imprese”. Questo a seguito del referendum lanciato dalla sinistra contro il pacchetto varato dalle camere federali. A tale riforma – e quindi alla votazione di febbraio – si arriva a seguito dell’ennesima capitolazione della Svizzera davanti ad imposizioni internazionali. E’ evidente che da simili genuflessioni, ormai assurte ad automatismo (siamo al livello dei cani di Pavlov), non viene nulla di buono. Ma i cittadini elvetici non saranno chiamati ad esprimersi sulla nuova miserevole rinuncia della Svizzera alla propria sovranità nazionale (non sia mai: queste operazioni si fanno, per definizione, senza consultare il popolo il quale, essendo becero, voterebbe sbagliato). I votanti si potranno esprimere solo sulle “misure accompagnatorie” decise dalla Confederazione per parare il colpo. Chi corre ad adeguarsi? In altre parole: in qualsiasi modo voteranno i cittadini il 12 febbraio, i regimi fiscali speciali non più in linea con i nuovi standard internazionali (?) in materia di tassazione delle aziende verranno a cadere. (Al proposito si potrebbe aprire una lunga parentesi su chi corre ad adeguarsi in preda alla consueta sindrome da primo della classe e chi, invece, farà tutt’altro). La domanda è quindi se si vuole o no il paracadute federale, onde evitare di schiantarsi malamente al suolo. La risposta non può che essere sì. 1.1 miliardi all’anno ai Cantoni La posta in gioco è alta. Oggi a beneficiare degli “abolendi” regimi fiscali sono infatti circa 24mila imprese a livello nazionale, mentre per il Ticino si parla di 1355 società a statuto speciale. Si tratta di aziende molto mobili, che quindi potrebbero facilmente levare le tende. Ciò metterebbe a rischio un gettito di 165 milioni circa per il nostro Cantone (5 miliardi per tutta la Svizzera) e tanti posti di lavoro. Per compensare l’abbandono degli statuti speciali con altre misure accettate e praticate a livello internazionale per rendersi fiscalmente attrattivi, la Confederazione mette a disposizione dei Cantoni un pacchetto di strumenti – ogni Cantone deciderà autonomamente se e come vorrà utilizzarli – accompagnato da una dotazione finanziaria di 1,1 miliardi di Fr all’anno. Non si tratta però di un “regalo”, dal momento che la Confederazione ha un’evidente interesse nell’ evitare che le aziende a statuto speciale che hanno sede nei vari Cantoni sloggino trasferendosi all’estero. Crolli di gettito? La sinistra si oppone alla riforma III strillando ai “regali alle aziende” e al conseguente calo di gettito. Ma è vero proprio il contrario. Il crollo di entrate ci sarebbe, per l’erario, se i regimi speciali cantonali venissero a cadere senza alcuna contromisura per evitare l’ “emigrazione di massa” di imprese, posti di lavoro e gettito: ovvero, nel caso in cui il referendum della sinistra venisse approvato. Se la riforma III viene affossata dalle urne, i Cantoni dovranno adattare comunque il proprio sistema fiscale, ma senza il programma di sostegno della Confederazione. Per i finti rifugiati, invece… C’è da chiedersi come mai la sinistra - che si è sempre voluttuosamente riempita la bocca con gli “standard internazionali” (ah, come suona chic e progressista quell’aggettivo, “internazionale”!) - adesso che questi arrivano abbia ancora da protestare: perché, a suo dire, si spenderebbe troppo nel tentativo di mantenere aziende e posti di lavoro in Svizzera (e magari di farne arrivare di nuovi). Da notare che i compagni non hanno alcuna proposta alternativa. Ritengono tuttavia che 1.1 miliardi ai Cantoni siano troppi. A loro parere, non si dovrebbero spendere più di 500 milioni. Strano però: quando si tratta di mantenere gettito e posti di lavoro, a sinistra protestano che la spesa è esagerata. Invece, sui costi miliardari e interamente fuori controllo generati dai finti rifugiati con lo smartphone, non si è mai sentito un compagno lamentarsi, né denunciare lo svuotamento delle casse pubbliche. O forse si teme che investire per mantenere il benessere nel nostro paese possa togliere risorse per i migranti economici, che “devono entrare tutti”? La logica del “meno peggio” Come detto all’inizio, la riforma III per le imprese è il frutto dell’ennesima capitolazione internazionale della Svizzera. Di conseguenza, non può certo suscitare grandi entusiasmi. E’ il paracadute con cui si cerca di attenuare le conseguenze, altrimenti tragiche, della nuova dimostrazione di “fermezza nel cedimento”. Detto in due parole, si tratta di decidere se buttarsi con il paracadute, o senza. La riforma III va quindi approvata nella logica del “meno peggio”. Che è poi quella cui da tempo ci ha abituati la politica federale: la quale, ahinoi, non pare proprio in grado di produzioni più entusiasmanti. Lorenzo Quadri, Consigliere nazionale, Lega dei Ticinesi
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