Le affermazioni dell'economista Amalia Mirante, leader di Avanti, non sono sfuggite, e non sono piaciute, a Stefano Modenini, direttore dell'Associazione industrie ticinesi. "Occorre essere anche un po’ coraggiosi - ha detto Mirante intervistata da Il Federalista.ch (LEGGI QUI) -. Essere coraggiosi vuol dire riconoscere che probabilmente ci sono delle aziende nel territorio - non abbiamo niente contro queste aziende - che di fatto, da un punto di vista -paradossalmente- dell'economia di mercato, non hanno ragione di stare qui. Cioè se un'azienda non fa utili tali da permetterle di pagare degli stipendi che consentano ai suoi dipendenti di risiedere nel Cantone, evidentemente non farà neppure dei grandi profitti: in termini di imposte lascerà poco o niente, generando però conseguenze negative, a cominciare dalla pressione sui salari, passando per il traffico ecc. Ecco, bisogna mettere sulla bilancia queste cose e avere il coraggio di dire che queste aziende non devono stare nel Canton Ticino. Insomma, se si versano salari italiani è buono e giusto che si operi in Italia".
Ecco la replica di Modenini.
Di Stefano Modenini *
Per nostra fortuna viviamo in una nazione nella quale lo Stato non decide quale azienda abbia il diritto di restare sul nostro territorio e quale invece non abbia questo diritto. Nella misura in cui un’azienda rispetta le leggi e i contratti essa ha pieno diritto di cittadinanza, anche se non paga salari competitivi per il territorio. Detto questo, non siamo evidentemente così stupidi dal non vedere il problema dei salari bassi o più bassi e dal non comprendere che esso vada affrontato. Ma proprio qui sta il punto e lo dirò in seguito. Purtroppo in Ticino da anni attorno al tema salariale si fa soprattutto chiacchiera e poco approfondimento competente, a differenza invece di quanto avviene soprattutto nella Svizzera di lingua tedesca.
Il tessuto economico in Ticino, non solo nel settore industriale, si è sviluppato prevalentemente dopo la seconda guerra mondiale e soprattutto a partire dagli anni settanta. L’industria è stata confrontata da subito prima alla concorrenza nazionale e poi a quella internazionale. Negli anni ottanta si sono sviluppati fortemente i processi di automazione a livello della produzione e negli anni successivi il tessuto economico ha vissuto e affrontato le diverse innovazioni a livello tecnologico, per giungere ai giorni nostri con i processi di digitalizzazione e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale.
Uno dei problemi principali dell’economia ticinese è la sua produttività inferiore alla media svizzera, anche se il gap negli ultimi anni è stato parzialmente colmato. Questa differenza è in effetti figlia di una differenza a livello competitivo dell’economia ticinese rispetto alle economie delle regioni economicamente più sviluppate del resto della Svizzera.
E’ vero che in proporzione al resto della Svizzera in Ticino avvengono attività e lavorazioni con maggiore intensità di lavoro e meno ad alta intensità di capitale, ma ciò non significa che l’azienda non sia competitiva. Sul territorio cantonale abbiamo numerosi esempi di imprese ad alta intensità di lavoro che sono leader a livello internazionale nel loro settore.
Detto questo, per migliorare questa discussione spesso inconcludente sull’argomento dei salari e della competitività della nostra economia bisogna per forza di cose concentrarsi sulle politiche di sviluppo economico territoriale che, volenti o nolenti, hanno tempi più o meno lunghi.
Gli stipendi non si alzano per decreto legislativo, così come essi non si adeguano automaticamente al rincaro, perché non è colpa del datore di lavoro se i costi della salute aumentano. Noi siamo invece dell’opinione che occorre mettere in atto delle appropriate politiche di sviluppo economico che favoriscano la crescita sul territorio di attività a maggiore valore aggiunto, senza per questo abbandonare le aziende e le lavorazioni che già esistono. Quelle attività cioè che permettano di pagare stipendi più elevati.
Certamente questo non basta e deve essere accompagnato ad esempio da uno sviluppo della formazione delle persone, affinché le attività economiche a maggiore valore aggiunto s’incontrino con il personale formato e specializzato ricercato. Naturalmente tutte le condizioni quadro offerte dal territorio a chi fa impresa devono essere costantemente migliorate. Non esistono secondo noi altre soluzioni.
Per tornare alla questione salariale. Il vero confronto fra Cantoni in Svizzera deve essere fatto a livello del potere d’acquisto. Il paragone deve tenere conto non solo dei salari pagati bensì anche dei diversi costi a carico delle persone, ma pure degli aiuti sociali e delle deduzioni fiscali che ogni Cantone concede. Qui sappiamo bene che il cantone Ticino è la regione più generosa in Svizzera. Il divario salariale fra il Ticino e il resto della Svizzera arriva a circa il 20 per cento solo nella misura in cui nel calcolo si inseriscono anche i salari dei frontalieri, che non vivono qui. Se noi confrontiamo ad esempio il salario dei residenti svizzeri, la differenza fra il Ticino e gli altri Cantoni si riduce al 5-10 per cento.
Informazioni e cifre che molti si guardano bene dal citare per non sviare la popolazione dal discorso populista e inconcludente.
Un’ultima annotazione. Il 90 per cento delle aziende e società in Ticino ha meno di 10 dipendenti. Il nostro tessuto economico è fatto di piccolissime aziende e questa situazione non cambierà nei prossimi anni. Quando si immagina quale sviluppo economico dare al cantone Ticino, dobbiamo tenere conto delle caratteristiche della nostra economia. Non saremo mai una Silicon Valley e probabilmente è meglio così.
L’auspicio dunque è quello che su questi argomenti la si smetta di chiacchierare e si sfrutti il fatto che la maggior parte della popolazione è poco competente in materia economica, per entrare in materia di un vero confronto sulle scelte da fare per creare sviluppo economico nei prossimi anni. Per il momento però su questi argomenti leggiamo tante lamentele ma nessuna proposta di miglioramento.
* direttore AITI