Il presidente del PLR Lugano invoca un “Piano Marshall del latte ticinese” per rifondare l’intera filiera: "Non servono nuovi caseifici, ma una visione imprenditoriale per salvare un settore in crisi"
di Paolo Morel *
Il latte, alimento che suscita grandi emozioni in tutti noi, legate alla nostra infanzia, al nostro territorio e alle nostre tradizioni ha fatto notizia a più riprese negli ultimi mesi. Il settore lattiero in Ticino sta attraversando un momento estremamente critico e anche la politica se n’è accorta. Tanto da presentare un’interpellanza firmata da deputati di tutti i principali partiti presenti in Parlamento dal titolo “Produttori sull’orlo del baratro”. E c’è del vero, perché il nostro territorio è orfano già oggi di uno dei prodotti più amati, il latte pastorizzato (bio e non) dalle nostre montagne che manca sugli scaffali dei negozi da oltre 6 mesi.
In questo contesto è comprensibile che coloro che sono in possesso di capacità produttive adatte approfittino della loro posizione di vantaggio, e ci mancherebbe. Va sottolineato che le istituzioni e gli attori che si occupano del mondo del latte stanno cercando con tutte le loro forze di riscrivere la storia, per dare un futuro a questo settore. Poi però ci dovrebbe pensare il mercato e l’affezione dei consumatori e delle consumatrici per l’uno o l’altro prodotto caseario a decretare il vincitore e non un ricorso, anche se lecito. Tutti devono essere consapevoli che il futuro di molte famiglie contadine e aziende soprattutto di piccola taglia è oggettivamente a rischio. A questo punto del discorso sarebbe però necessario un distinguo tra i due mercati: il formaggio e le sue declinazioni dal latte fresco ticinese pastorizzato, che oggi non può venir prodotto. Il lettore attento starà pensando, “in effetti un caseificio c’è già, e la LATI è andata in fallimento – quindi a che scopo costruire un altro caseificio?”.
Questa confusione è il sintomo del malessere di un settore che pensa prevalentemente alla produzione lattiera, mentre oggi ciò non basta più. Bisogna pianificare e organizzare la filiera come sistema. È necessario tener conto dei costi di produzione, della massa critica, delle distanze di trasporto, della trasformazione del latte, dei desideri del consumatore (in termini di prodotto e imballaggio) e della promozione di marchio e prodotti. Ciò che ha funzionato nel passato non sarà per forza successo nel futuro e potrebbe servire una strategia per l’intera filiera del latte. Una strategia coerente e obiettiva porterebbe gioco forza a decisioni scomode e dolorose, ma chi deve decidere nel nostro cantone fa notoriamente fatica a “scontentare”. Posso sbagliarmi ma temo che questo lusso non possiamo più permettercelo.
La domanda di fondo resta: cosa si vuole fare? La risposta non sembra esserci o perlomeno non è ancora conosciuta al pubblico. Se il “Piano Marshall del latte ticinese” non ha ancora visto la luce, allora abbiamo l’opportunità di rimettere a zero le lancette e ripartire, non dalla materia prima, ma da un’idea imprenditoriale, comprensiva di tutti gli aspetti indicati sopra. Siamo di fronte ad una decisione difficile, me ne rendo conto: favorire gli interessi di parte o cogliere l’opportunità di rivedere il sistema e far tornare a brillare l’oro delle alpi.
* Presidente PLR Lugano