Cronaca
22.10.2017 - 14:590
Aggiornamento: 21.06.2018 - 14:17
Un litigio per una cena, forse per l'educazione dei figli. Due alt prima di sparare. Attimi della tragedia di Brissago, "ora non chiamerebbero più la Polizia"
Ai funerali del 38enne richiedente l'asilo era presente tutta la famiglia, che chiede di sapere. "Siamo grati a quel che la Svizzera gli stava dicendo". Ultimamente l'uomo pare bevesse. A sparagli è stato un poliziotto 28enne, che prima gli aveva intimato di gettare i coltelli
BELLINZONA - Il richiedente l’asilo morto a Brissago si chiama Karan, aveva 38 anni, e al suo funerale ha assistito l’intera famiglia, la moglie Vijitha, 36 anni, le figlie Tharsikaa, 20, e Tharsini, 16, e il fratello Mathanakumar, 32 anni. Martedi riporteranno in patria le ceneri del loro caro.
La domanda che aleggia ancora, oltre il dolore, è perchè. Cosa è successo quella notte? Non era un violento, dicono in molti fra coloro che erano presenti, soprattutto la comunità tamil. Non c’erano rappresentanti delle autorità né della Polizia né del Municipio, e parrebbe che ai famigliari avrebbe fatto piacere.
C’è il racconto di quello che si sa, il senso di colpa, forse, di chi ha chiamato la Polizia. "Per una stupidaggine. Stavano discutendo, Karan era alterato, sembra avesse preso il brutto vizio di bere, e poi la situazione è precipitata. Uno dei suoi compagni ha chiamato la polizia... ma oggi non lo farebbe più", spiega uno dei presenti.
Non si può negare, comunque, che l’uomo avesse in mano due coltelli. Il litigio, riferisce Il Caffé, sarebbe nato per un motivo banalissimo, una cena a cui l’uomo non era stato invitato, a casa di altri tamil che vivevano sotto di lui nel palazzo a Brissago. Oppure per questioni legate alle scelte educative dei figli, a scuola pubblica o privata. Sono i due vicini, che vivevano sotto, a chiamare agitati la Polizia, faticando a spiegarsi per la lingua.
E arriva l’intervento, fra cui il giovane 28enne, da cinque anni in Polizia, che ha sparato. I due tamil li attendevano fuori dalla casa, il giovane ha preso il comando delle operazioni e li ha fatti salire davanti a lui, con altri agenti sulla porta. Il corridoio è stretto, da un appartamento esce Karan, con in mano due coltelli. C’è pochissimi spazio fra lui e i due connazionali, potrebbe colpirli da un momento all’altro. L’agente gli intima, “alt, Polizia. Getta il coltello”. Lui fa un passo avanti, il 28enne è sull’ottavo gradino di una scala di dieci. Gli chiede ancora di fermarsi, poi mette mano alla pistola: spara due colpi, colpendo Karan al rene, poi, visto che non cede, esplode il terzo. Il 38enne stramazza al suolo.
Questi parrebbero essere i fatti. “Sono grata a quello che la Svizzera stava offrendo a Karan, ma in ginocchio chiedo solo di sapere”, chiede la moglie. Si poteva fare altrimenti? Cosa è successo realmente? Le figlie parlano di un uomo buono, che mandava loro regolarmente soldi, i connazionali di una persona fuggita da un terribile campo in Sri Lanka per morire in Svizzera.
Le vite toccate da quella maledetta notte sono tante. Quella di Karan è stata stroncata, quella della sua disperata famiglia mutata. E anche in quella del giovane poliziotto, che a quanto pare è in servizio, segnata. Una tragedia per tutti.