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Cronaca
31.05.2018 - 17:590
Aggiornamento: 21.06.2018 - 14:17

Dieci mesi dopo, cercando la zia Gene. Nella terra degli scomparsi, "si vive come in un limbo, in una dimensione a sé. La speranza è l'ultima a morire. Se potessi le direi..."

Geneviève Tomonaga-Ducotterd, 63 anni, è sparita dal 2 agosto scorso. La nipote ci racconta come ci si sente, "continuo a cercare i suoi mazzi di chiavi e a camminare nelle sue zone. Trovarla metterebbe un punto, permetterebbe di metabolizzare tutto. Non sapere è una cosa più grande di te"

LOSONE – Era il 2 agosto dello scorso anno quando Geneviève Tomonaga-Ducotterd, 63 anni, ha fatto perdere le sue tracce. È passati quasi un anno, ma della donna non si è saputo più nulla. L’eco sulla scomparsa si è un po’ spenta, ma la sua famiglia rimane in un limbo, e per quanto possibile non smette di cercarla.

Quando la notizia era ancora fresca, parlammo con la nipote (nome noto alla redazione), che raccontò di una vicenda senza spiegazioni. Anche adesso, il suo pensiero è rivolto alla zia Gene, e il tema delle persone scomparsa è divenuto per lei una causa che segue con attenzione.

È cambiato qualcosa dalla nostra ultima intervista? La state ancora in qualche modo cercando, immagino, oppure non più?
“Personalmente sono andata a vedere nei mazzi di chiavi ritrovati dalle Polizia comunali se c’era anche il suo, vado a camminare nelle zone che sono già state battute nella sua ricerca. In qualche modo la si cerca ancora, non abbiamo però più avuto nessuna novità. Non sappiamo niente di più rispetto ad agosto”.

Come si vive in una situazione simile? Cosa si prova?
“Diciamo che è una dimensione a sé. Da una parte è come se la tua vita si cristallizza in quel momento, però allo stesso tempo devi andare avanti, le giornate trascorrono. Non è evidente, è abbastanza pesante. Magari ci sono giornate più leggere e altre meno, il non sapere è una cosa più grande di te. Avere una consapevolezza per metabolizzare una determinata situazione ti aiuta, il non sapere nulla non ti permette di farlo, di darti una spiegazione, rimani in balia di queste sensazioni”.

Non succede mai di non pensarci per un po’ e poi magari sentirsene anche in colpa?
“Personalmente ogni tanto mi succede. È strano, capita. Effettivamente ci sono dei momenti piacevoli che si passa durante la giornata, perché non si può pensare di vivere deprimendosi, non sarebbe giusto, e qualche volta arrivano questi pseudo sensi di colpa”.

A livello familiare questa vicenda vi ha cambiato, ha inciso sui vostri rapporti?
“Sicuramente sì. Sono quelle situazioni che ti fanno riavvicinare tanto, però il pensiero e il dolore di non sapere sono sempre presenti, in famiglia. Per tutti noi è veramente pesante”.

In questi mesi ha magari avuto contatti con familiari di altre persone scomparse?
“Ho fondato una pagina Facebook per tenere accesa l’attenzione sulla tematica, parlane di più non è un male. Quando è scomparso Boris Bernasconi, ho avuto l’onore di conoscere sua zia, con cui è nato un rapporto bellissimo, con altri familiari non ho avuto occasione di avvicinarmi”.

Quando vede un annuncio di scomparsa, cosa prova? E quando una persona viene ritrovata, non c’è mai il pensiero ‘lei sì e mia zia no’?
“Mi auguro sempre che la persona venga ritrovata nell’immediato, cerco di condividere subito l’informazione per farlo sapere a più persone possibili. Credo sia una catena dove ci si aiuta, più si sa che c’è una persona scomparsa più gente rende attenta: magari l’ha vista, e non lo sa, poi vedendo le foto se ne ricorda. Ogni volta mi dico ‘di nuovo, un’altra persona’, è qualcosa di terribile questa terra degli scomparsi, mi auguro sempre un lieto fine. Recriminazione non ve n’è, non si può avere questo tipo di sentimento. È sempre qualcosa di delicato quando qualcuno si allontana, per ciascuno è diverso e non sento questa sensazione, anzi sono felice quando qualcuno viene trovato. Mi dà forza di continuare a sperare”.

Cosa si può fare per continuare a tener vivo il tema? Nei primi giorni le forze dell’ordine si mobilitano, poi?
“Ho avuto l’occasione di conoscere la presidente dell’Associazione Penelope Lombardia che si occupa da sempre degli scomparsi in Italia, e mi ha dato molto sostegno. A livello personale ritengo che bisogna sempre andare avanti in qualche modo, immedesimarsi in un investigatore e cercare ipotetiche piste. In fondo domandare è lecito, possiamo fare qualcosa nel nostro piccolo, pur non essendo poliziotti o investigatori. Il parlarne e divulgare le informazioni è il punto di partenza, la cosa più importante. Di recente avevo letto un articolo in cui si diceva che nel 2017 a livello svizzero sono scomparse molte persone ma mi aveva sconvolto il fatto che in un cantone come Ginevra sono stati divulgati solo uno o due casi su 1700. Ci si attacca alla privacy, che in questi casi ha senso fino a un certo punto. Certo, se una famiglia decide di non divulgare è giusto così, ma secondo me bisogna parlarne. È fondamentale”.

Sperate ancora? È brutale da chiedere, lo so…
“La speranza è l’ultima a morire, è vero. Trovarla, viva o morta… mi duole dirlo, ma in un modo o nell’altro, vorremmo trovarla. È un punto comune a chiunque ha un caro scomparso da tanto tempo, per poter mettere un punto. Immagino che ci si alleggerisca e ci si dia un perché, mettendo una fine a una situazione che a lungo termine è pesante. Mi chiedono ancora oggi se ci sono novità, e questo mi commuove, è rimasta nel cuore delle persone”.

Pensa che possa essere viva, da qualche parte?
“Più il tempo passa e più non so. Rimani sempre nel limbo tra il 50 e il 50. Me lo auguro davvero, bisogna essere realisti, e tenere in considerazione che potrebbe anche non essere più fra noi”.

Ipotizziamo che lo sia, come ci auguriamo, e che si sia allontanata per un motivo suoi che non conosciamo. Cosa le vorrebbe dire?
“Che va bene così, se dovesse aver preso questa decisione noi siamo i primi a accettarla e non per questo smettiamo di volerle bene. Succede che qualcuno magari sceglie di rifarsi una vita, vorremmo solo sapere se sta bene, sarebbe l’unica cosa importante. La rassicurerei dicendo che il nostro volerle bene non cambia per questo motivo”.

Ricordiamo i connotati della donna: carnagione bianca, corporatura media, 170 cm, occhi azzurri chiari, capelli castano chiaro corto. Sconosciuti gli indumenti che portava al momento della scomparsa. La signora è claudicante a causa di un intervento chirurgico al ginocchio destro. La sua lingua madre è francese e italiano, ma si esprime anche in svizzero tedesco.

Paola Bernasconi
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