MENDRISIO – Questa è la storia, si fa per dire, di un vicinato e di una gatta. La prova che la solidarietà esiste, e quella che fa nascere diverse domande.
Nella casa vicina la mia vive un ragazzo con una gatta. Per una serie di motivi, da circa due settimane il padrone è assente e non può tornare a casa. E la micina?, è stato il primo pensiero di tutti. Noi, che ci salutiamo cordialmente, scambiamo due chiacchiere, ma non siamo esattamente le persone che vanno a prendere il caffè l’uno dall’altro, abbiamo creato una rete per quella povera bestiola, costretta fuori al freddo, senza nessun che si prende cura di lei. C’è chi è andato a comprare il cibo, chi si è messo in contatto con il fratello del proprietario, chi addirittura si è offerto di ospitarla in casa. Tutti quando usciamo di casa la chiamiamo, le regaliamo un momento di coccole, qualche leccornia. Quando piove o la temperatura scende troppo, ci premuriamo di portarla all’interno: non nel suo appartamento, ma almeno in casa. E scorrono telefonate, “hai visto la gatta oggi?”, “sai che ha mangiato?”, “guarda che l’ho messa all’interno per la notte, non aprite la porta così rimane al caldo”.
Un’onda che ha unito persone che vivono vicine, per la serenità di una gattina. Non saremo il suo padrone, ma quanto meno le offriamo affetto, cibo e attenzioni.
Quel che mi chiedo è come mai non si faccia la stessa cosa per le persone. Quando si sente di anziani trovati morti in casa, soli, senza nessuno che se ne preoccupasse prima di sentire odori strani, mi si stringe lo stomaco e penso sempre come sia stato possibile. Capitasse a noi di non vedere un vicino, anziano, per qualche giorno, ci preoccuperemmo: lo facemmo, per uno di essi. Come mai a volte non capita? Se una gattina ha saputo suscitare tanta preoccupazione, perché non succede, a volte, con persone?
Che magari si vedevano tutti i giorni, con cui si parlava del tempo, venivano aiutate a portar la borsa dalle scale, si vedevano regredire giorno dopo giorno come fanno gli anziani. Certo, non sono nostri parenti, e preferirebbero avere figli e nipoti vicini, ma spesso, come il padrone della nostra gattina, sono impossibilitati, non ci sono, o crudelmente non vogliono. Però l’affetto di un amico, di un vicino di casa, può lenire un po’ la solitudine.
Se la micina è un essere indifeso, lo sono anche gli anziani, o le persone malate. Spesso le si vede rimpicciolirsi, chiudersi in sé stessi, non riuscire più a fare quel che facevano prima. E allora, cosa ci vuole a dare una mano? Se troviamo il tempo per comprare, nella nostra spesa, una scatoletta di cibo per gatti, perché non si potrebbe fare lo stesso con un gelato per un anziano? O, quando si fa una torta, cosa costerebbe suonare alla porta e portarne una fetta? Certo, il mondo è frenetico, è veloce, è pieno di impegni: ma i vicinati spesso sono ampi, nei palazzi abitano diverse famiglie, e una volta una persona e una volta un’altra possono trovare cinque minuti per un saluto e un caffè al vicino malato.
Un momento infinitesimale in una giornata, che per l’altra persona può voler dire tanto. Due chiacchiere banali, giusto per accertarsi che vada tutto bene. E se così non è, ci sono figure di riferimento da contattare, dai medici sino, al limite, agli assistenti sociali o agli aiuti.
Se noi per la micina abbiamo creato una rete, perché in ogni quartiere non si può fare la stessa cosa per le persone? Poi sole lo saranno magari sempre, ma un po’ di meno. Non si potrà impedire che stiano male o muoiano, però non si troverà il cadavere dopo giorni, e li si accompagnerà con un sorriso.
Non siamo certamente persone migliori delle altre, e se lo stiamo facendo noi, la mia riflessione è cosa impedisca ad altri di farlo. Prendersi a carico qualcuno, una scelta altruista ma anche semplice.
A proposito, questa mattina non ho ancora visto la gattina. Presto scatterà il tam tam telefonico e appena uscirò di casa, la prima cosa sarà chiamarla per la razione mattutina di coccole.