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Cronaca
28.01.2019 - 16:450

"Chi, in quei bunker, si fa sentire, viene vessato". Storia di H, 72 ore alla Farera e un presidio

A raccontare la vicenda di un algerino è il Collettivo R-Esistiamo, di cui l'uomo fa parte perchè sensibile al tema. "Quando siamo andati sotto al carcere, siamo stati identificati da 11 pattuglie della Polizia"

LUGANO – Torna a farsi vivo il Collettivo R-Esistiamo, con una nuova storia, a suo dire, “che non viene raccontata perché scomoda”. 

Tema, ovviamente, i rifugiati. Chi si trova qui, non ha un passaporto, non ha le condizioni per lavorare e dunque mantenersi, viene penalizzato perché collabora con loro, viene incarcerato.
Ecco la testimonianza inviataci dal Collettivo. La storia è quella di H, algerino, che arriva in Svizzera nel 2005. Dieci anni vissuti nei centri di accoglienza: i bunker, li chiamano.

Non ha un passaporto e non può procurarselo, viene detto. Dunque, non può lavorare.

“Lo Stato svizzero – rappresentato dalla SEM (Segreteria di Stato della Migrazione), dall’ufficio della migrazione del cantone Ticino e dalla polizia dei rimpatri – tenta a più riprese e con diversi metodi di imporgli un rimpatrio volontario. Detto altrimenti, H. continua a subire pressioni psicologiche affinché ceda alla richiesta di rimpatrio (il cosiddetto “rimpatrio volontario”), in quanto persona indesiderata. Ad esempio, in numerose occasioni, H. viene portato dalle guardie di confine in Italia, per essere allontanato dalla Svizzera. Una di queste viene pure picchiato, subendo un grave danno alla dentatura, ancora oggi non risolto”, si legge nel lungo racconto di R-Esistiamo.

Conosce diverse persone, si lega sentimentalmente a una donna svizzera, sogna una famiglia ma intanto non può lavorare e i debiti aumentano.

Il Collettivo lancia accuse pesanti: “Aver vissuto in prima persona il razzismo lo ha portato ad essere una persona attiva in favore dei diritti dei migranti, della libertà di movimento e per la chiusura del bunker di Camorino. Chi fa sentire la propria voce però, chi lotta e mette in discussione questo sistema migratorio, si sa, non è ben accetto in questo cantone. La risposta non tarda infatti ad arrivare: le autorità, la SEM, l’ufficio della migrazione e la Croce Rossa, si rendono ripetutamente protagoniste di pressioni, ricatti, punizioni e vessazioni. Non solo verso di lui ma anche contro le varie altre persone che vivono nel bunker di Camorino e hanno deciso di non stare più zitte denunciando le condizioni indegne che vivono all’interno del bunker”.

Cosa succede, infatti? “A metà gennaio di quest’anno, H. viene arrestato dalla polizia in casa della sua compagna. Vari agenti si presentano a casa e con fare intimidatorio se lo portano via. La motivazione? Una sua, supposta, assenza prolungata dal bunker. Viene portato al carcere la Farera di Lugano, dove scopre invece che la reale intenzione del fermo era quella di convincerlo a recarsi spontaneamente all’ambasciata algerina per avviare una procedura di verifica nell’ottica di un rimpatrio “volontario”. Nell’intenso interrogatorio subito, il punto centrale sono le ripetute e insistenti domande riguardo al suo attivismo e ai gruppi solidali. Procedura per niente conforme: informazioni tardive, negazione dell’unica telefonata all’entrata in carcere e negazione del colloquio con l’avvocato. Una chiara provocazione e un’evidente intimidazione verso una persona scomoda la cui unica colpa è quello di far sentire la propria voce”.

Dice no al rimpatrio volontario, dietro le sbarre resta 72 ore. I suoi amici organizzano un presidio solidale sotto le finestre de La Farera. “Tutti i partecipanti vengono identificati dal sopraggiungere di undici (11!) pattuglie, viene scarcerato. Il Servizio rimpatri della Polizia Cantonale, su ordine dell’Ufficio della Migrazione, gli impone però delle pesanti misure restrittive: per tre mesi non può uscire da Camorino e deve firmare presso la centrale di polizia 3 volte a settimana”, prosegue il duro attacco.

Per chi scrive, si fa di tutto per indurre H. a violare le norme e dunque a cadere in errore. “Mentre stava rientrando al bunker di Camorino dove aveva l’obbligo d’arrivo per le 18.00, H. viene fermato e controllato da due poliziotti e una guardia di confine che lo ri-perquisiscono, lo rimettono in una situazione di tensione e gli ripetono insistenti domande sulla sua presunta partecipazione ai gruppi solidali (Collettivo R-Esistiamo ecc.), facendogli “chiaramente” perdere il treno e causandogli “l’inevitabile” ritardo al bunker. Ci sembra evidente la chiara volontà di colpire l’anello più debole, di voler spegnere la determinazione delle persone apparentemente più indifese e senza diritti. Una chiara volontà di spezzare la solidarietà e di smorzare le proteste contro questo sistema migratorio razzista e indegno”, commentano, accusando pesantemente Gobbi e i suoi funzionari.

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