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Cronaca
27.08.2018 - 12:300

Racconto dal bunker. "Quasi 30°, aria rarefatta, cimici, acqua giallognola"

Un gruppo di persone è entrato nel centro asilanti di Camorino. "Quanto guadagna la Croce Rossa gestendo questo luogo di degrado umano? E per uscire..."

CAMORINO – Condizioni igieniche e personali difficili? Cimici e troppo caldo? Queste erano le lamentele che si erano manifestate nelle settimane scorse da parte di alcuni asilanti, l’altro ieri si è svolta una manifestazione, col collettivo R-esistiamo che si è recato al centro di Camorino, incontrando i richiedenti l’asilo e cercando, invano, di avere risposte. 

Affidiamo il racconto alla testimonianza di Ivan Miozzari, che era lì per il ForumAlternativo, e non risparmia parole dure verso la gestione del centro e soprattutto le forze dell’ordine. Il centro viene chiamato “una sorta di incubo sotterraneo”, oppure addirittura “il bunker”. Gli asilanti presenti hanno raccontato le loro storie, ritenute di estrema violenza.

Per entrare il gruppo fa fatica, poi finalmente la società di sicurezza lascia passare. “Subito siamo un po’ in affanno a causa del caldo - la colonnina segna 29.4°C - ma soprattutto c’è la sensazione che l’aria sia rarefatta. Il bunker non dispone di finestre e si trova ad almeno 5 metri sotto il livello del suolo. Il sistema di aerazione è basato su una circolazione costretta ad un ciclo infinito. Non c’è ricambio. Provate ad immaginare l’attraversamento del Gottardo in automobile, con l’aria in circuito chiuso. Non il tempo di percorre 17 chilometri, ma per 5 mesi, un anno, quattro anni. I ragazzi ci accolgono nelle loro stanze. Tutti i letti sono occupati, e i pochi oggetti personali appoggiati sui letti a castello. Un asciugamano appeso diventa la parete di casa che ti da un po’ l’idea di privacy, almeno in quel metro per due. Non si lamentano loro. Sanno che non possono dire nulla perché la loro parola vale meno di niente e se si alza la testa non mancano le ritorsioni. Ma quando vediamo i materassini di pochi centimetri di spessore, e delle bestioline che sembrano cimici, non abbiamo più molte parole. Non capiamo: le autorità ci hanno assicurato che il problema delle cimici è stato debellato. Ma dopo uno sguardo ravvicinato non ci sono dubbi: sono cimici. Le quasi cinquanta persone stanziate in quella fossa di cemento hanno a disposizione cinque docce che non hanno porta, solo una tendina. Privacy zero. L’acqua che vediamo scendere dalla doccia e dai rubinetti è giallognola e ha un sapore terribile. Non c’è il sapone. Nonostante tutto ci concentriamo sui nostri ospiti e sui giochi dei bambini che con i loro genitori sono venuti a condividere un momento di gioia. Ma è molto difficile resistere a lungo all’interno della struttura. Il viavai di chi ha bisogno di uscire a respirare aria fresca rende l’ambiente molto dinamico”, scrive Miozzari.

“Andiamo all’esterno ad incontrare la direttrice di Crocerossa Ticino che nel frattempo è sopraggiunta. Ci aspettiamo che, con quell’umanità che dovrebbe contraddistinguere questa organizzazione, la signora Ricci ci spieghi come si pensa di affrontare i problemi di vivibilità nell’impianto e se eventualmente si possano trovare soluzioni alternative più dignitose. Invece troviamo un muro. Ci sentiamo dire e ribadire che la struttura è omologata. Poniamo delle domande provocatorie e magari in qualche caso retoriche. Ma non ci sono risposte. Siamo “invitati” ad andarcene. La polizia accorre, ci pare di capire, in difesa degli interessi privati dell’organizzazione “umanitaria”. Quanto guadagna la Crocerossa con la gestione di questo luogo di degrado umano?”. Insomma, niente risposte ritenute soddisfacenti.

Per uscire, un nuovo problema: i documenti richiesti. “All’uscita gli agenti ordinano di mostrare i documenti. Si chiede il motivo. Controllo di polizia è la risposta. Chiediamo su quale base e la risposta è che hanno il diritto di identificare le persone in base alla Legge polizia (LPol). Siamo accusati o sospettati di qualche reato o infrazione? Un agente anziano mi rivela che il controllo dell’identità può essere eseguito in caso che la persona desti sospetto. Alla domanda quale sospetto stia destando io personalmente la risposta è incredibile: non mi piace la sua faccia. Dalla polizia ci si aspetterebbe ben altro comportamento. Ma il punto è un’altro. Siamo tutti messi sotto sequestro. Non un arresto, non un fermo, ma l’impossibilità fisica di lasciare quel luogo se non presentando i documenti. Due ore e mezza di stallo. Gli agenti sono verbalmente pacati, risoluti ma cortesi. Fisicamente invece si mostrano invadenti e pressanti. Diversi i tentativi di togliere la videocamera o perlomeno di oscurarla a chi sta documentando i fatti per l’opinione pubblica. Non ci sono alternative. Per ritrovare la libertà occorre identificarsi. Ed è molto probabile che la quarantina di persone confluite nel bunker dovrà subire delle misure di “giustizia”. Ci si saluta in amicizia e ci commuove la gratitudine che i ragazzi ci regalano per avere preso noi quella parola che a loro è negata”, conclude Miozzari.

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