CRONACA
Los Angeles in fiamme: il drammatico racconto di Amos Sussigan
Il regista ticinese: "Sono grato di essere al sicuro, ma non dimenticherò mai la tensione e il senso di impotenza. Più di tutto, mi colpisce il dolore di colleghi e amici che hanno perso tutto..."

di Amos Sussigan *

Il 7 gennaio ero a bordo del volo LX40 da Zurigo a Los Angeles. Tutto era iniziato nel migliore dei modi: nessuna turbolenza, un servizio Swiss impeccabile e la promessa di un atterraggio tranquillo in una Los Angeles ventosa ma soleggiata. Eppure, avvicinandoci all’aeroporto, qualcosa sembrava strano. L’orizzonte era offuscato, quasi nebuloso. Poi, senza alcuna spiegazione, il pilota ha sorvolato LAX, dirigendosi verso l’oceano.

Mentre i passeggeri mormoravano, il mistero si è svelato improvvisamente: non era nebbia, ma fumo. La costa californiana bruciava, e quel tramonto che sembrava idilliaco era in realtà il riflesso degli incendi sulle Pacific Palisades. L’atterraggio è stato turbolento ma sicuro, e una volta a terra le notifiche sui telefoni confermavano la gravità della situazione: il vento forte alimentava le fiamme.

Il viaggio verso casa è stato un’odissea. Il traffico era paralizzato, detriti volavano ovunque e un albero caduto ha bloccato la strada, costringendo il mio autista a intervenire. A peggiorare il tutto, un blackout improvviso ha reso l’oscurità ancora più spettrale, interrotta solo dai fari delle auto e dalle fiamme all’orizzonte.

Arrivato finalmente a casa, ho trovato il quartiere animato dai pompieri. Fortunatamente, la mia abitazione aveva ancora corrente, ma il senso di precarietà era palpabile. Esausto, sono crollato sul letto, ma il giorno dopo ho scoperto che gli incendi non si erano fermati: Watch Duty segnalava nuovi focolai intorno a Burbank, dove vivo e lavoro.

Tra colleghi evacuati e riunioni online interrotte, la situazione si faceva sempre più caotica. Nuovi incendi, come il Sunset Fire e il Kenneth Fire, si avvicinavano, costringendo amici e colleghi a lasciare le loro case. La Warner Bros, come altre aziende, ha sospeso le attività, offrendo sistemazioni in hotel e auto a noleggio per i dipendenti colpiti.

Giovedì, due falsi allarmi di evacuazione hanno reso tutto più teso: alle 15:30 e poi alle 4 del mattino, il suono assordante delle notifiche mi ha ricordato quanto fosse precaria la situazione. Venerdì, con i venti leggermente calati, alcuni evacuati hanno potuto tornare a casa, ma il rischio resta alto fino a domenica.

A Burbank non siamo sotto coprifuoco, ma l’aria è irrespirabile e si consiglia di restare in casa con maschere N95. Guardando i danni intorno a me, penso a quanto questi disastri stiano diventando una routine in California. È incredibile come un’infrastruttura così avanzata sembri impotente di fronte a incendi, uragani e alluvioni.

Sono grato di essere al sicuro, ma non dimenticherò mai la tensione e il senso di impotenza. Più di tutto, mi colpisce il dolore di colleghi e amici che hanno perso tutto: le loro case, i ricordi, la normalità. Mi chiedo se non si possa fare di più per proteggere il nostro futuro da tragedie come questa.

* regista

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