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19.11.2017 - 17:040
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

"Io, che ho sconfitto il cancro, vi dico che far sentire diverso chi è in sedia a rotelle fa schifo. Ognuno deve rendere straordinaria la strada disegnata per lui"

Le commoventi parole di Andrea Caschetto, che ha girato l'Argentina in sedia a rotelle in onore della sua amica Azzurra. "I miei amici mi vedevano come il ragazzo con il tumore e la cicatrice, ma erano adolescenti. Grazie a loro non lascerò mai nessuno da solo. Voglio scuotere le coscienze"

BELLINZONA – Ha 27 anni e ha sconfitto un tumore: si è rialzato dalla carrozzina, ma ha voluto girare l’Argentina con essa per dimostrare qualcosa, pensando anche a una persona cara. Lui è Andrea Caschetto, e presenterà il suo libro, “Come se io fossi te”, a Bellinzona, giovedì 23 novembre alle 18 nella sala conferenze dell’auditorium all’ospedale San Giovanni. Ha parlato anche all’ONU in occasione della Giornata mondiale della Felicità, e dopo pochi minuti a colloquio con lui, abbiamo capito il perché.

Ecco le sue commoventi e intense parole, un insegnamento per tutti. Voleva fare il magistrato, ma i problemi di memoria gli hanno fatto cambiare strada: non si è abbattuto, e ha trovato vie alternative.  La sua è una storia di coraggio, di lotta ai pregiudizi, di perdono.

Parlaci del tuo libro, quello che presenterai a Bellinzona (non il primo che scrivi)…
“Racconta il viaggio che ho fatto in Argentina in sedia a rotelle. Posso camminare, però ho voluto compierlo in sedia a rotelle come per esperimento sociale, per sensibilizzare le persone, perché quando esse vedono qualcuno di diverso si girano dall’altra parte, lo vivono come un tabù. Desidero far cambiare il punto di vista di chi ascolterà questa storia. A 15 anni ho avuto un tumore, a un certo punto ero su una sedia a rotelle e la cosa peggiore è stata la reazione degli altri. Non mi sentivo più Andrea, l’amico di tutti, ma il ragazzo sulla sedia a rotelle col tumore. Un altro motivo forte è stata una ragazza che mi piaceva alle medie, e alle superiori ha avuto un incidente stradale che l’ha costretta su una sedia a rotelle. Il suo sogno era questo viaggio in Argentina. Ho deciso di farlo anche per lei, che non può. La sedia a rotelle si chiama come lei, Azzurra”.

Siete ancora in rapporti, giusto?
“Siamo molto amici, è la prima persona a cui ho consegnato il libro. Le ha fatto molto piacere, ci auguriamo che grazie a esso la gente cambierà idea. Lei vive ancora su questa sedia e fidati che è brutto essere guardati in modo diverso, uno non se lo merita: già vive la disgrazia di non poter usare le gambe, perché deve avere la tortura di essere visto male, e di non poter usare i mezzi pubblici o andare in determinati luoghi? Desidero smuovere le coscienze”.

Hai avuto un tumore, quando è successo?
“L’ho avuto a 15 anni. È stata una cosa straordinaria, e spiego perché. Dopo l’intervento alla testa avevo problemi con la memoria a breve termine, scordavo molte cose e quindi ho scoperto con gli anni che tutto quello che tocca le emozioni passa dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine, e che facendo progetti sociali, come giri del mondo per gli orfanatrofi, documentari girati da non viventi (l’ho fatto fare io), e questo viaggio, riesco a ricordarle. Per ricordarmi ciò che faccio devo fare cose fuori dal comune, straordinarie. Il mio cervello con delle tecniche ha trovato delle strade alternative, utilizzo per esempio le immagini e l’immaginazione per immagazzinare ciò che ascolto”.

Come l’avete vissuta tu e la tua famiglia? Eri un ragazzo giovanissimo, immagino sia stata una mazzata terribile.
“Per la mia famiglia sì. Io l’ho vissuta molto tranquillamente, come una cosa semplice da affrontare, e credo che questo mi abbia aiutato a affrontarlo bene. La positività aiuta tanto, ne sono certo. Ringrazio questa esperienza perché vivo in maniera più positiva dei miei coetanei. Non ho avuto paura, e l’affronterei anche oggi nello stesso modo: mi dire che sfortuna. Il peggio è il post operazione, i trattamenti medici. Ora non ci penso ma ai tempi mi avevano dato problemi”.

Che ricordi hai di quel periodo?
“In ospedale erano venute a trovarmi tante persone. Mia zia era andata a pregare sulla tomba di Giovanni Paolo II e io l’ho presa in giro, dicendole che non c’era bisogno di fare una preghiera, che bastavano i medici”.

Poi sei stato per un periodo sulla sedia a rotelle, vero?
“Era il modo in cui ti facevano sentire gli altri il brutto. I miei compagni non uscivano più con me, perché ero un problema. Le ragazze non dicevano più che ero carino, non piacevo più. Non ero Andrea ma uno sulla sedia a rotelle. E questo mi fa schifo. Dunque, potendo camminare, voglio smuovere le coscienze, e mi stanno arrivando molti messaggi, sia da persone che sono sulla sedia a rotelle sia da persone normodotate, tutti mi ringraziano. Qualcosa sta succedendo ed è una grande soddisfazione”.

E come hai superato questa sensazione di essere diverso che ti hanno provocato?
“Sono un ragazzo forte. Nella mia testa avevo l’obiettivo di tornare a camminare, forse se fosse stato per tutta la vita non so come l’avrei vissuto. Penso che avrei trovato una strada alternativa come ho fatto per la memoria. Tutti dobbiamo camminare sulla strada che ci disegnano, la vita è fatta da molte strade diverse e bisogna rendere bella la propria, decorandola e trasformandola in qualcosa di straordinario”.

Una volta ricominciato a camminare, sei tornato a essere per tutti Andrea?
“Dopo un po’ di tempo, perché all’inizio ero ancora gonfio per il cortisone. Ero il malato con la cicatrice sulla testa. Poi sono tornato magro, camminavo bene, e sono stato rivisto come uno normale, con i capelli lunghi perché mi vergognavo a mostrare la cicatrice. Devo dire che però dai 15 ai 19 anni non ricordo tantissimo”.

Personalmente, sarebbe stato difficile far riavvicinare chi mi aveva abbandonato. No?
“Invece no, i miei amici erano ragazzi adolescenti, e chissà come avrei reagito io nella loro situazione. Una cosa importante che dico è di non avere rancore, ma di dare un’altra possibilità, facendo capire che tutti possiamo sbagliare. Ringrazio questi amici, perché ho capito cosa vuol dire restare da soli e io non lascerò mai nessuno solo, sia un amico o qualcuno che non conosco. Senza dubbio i miei amici di quando ero piccolo mi sono ancora a fianco, come quelli di oggi: uno di loro era a casa mia poche ore fa”.
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