BELLINZONA - Nell’intricata e interminabile saga politico-giudiziaria sull’abbattimento dell’ex Macello, si aggiunge stamane un nuovo capitolo che coinvolge l’aspetto mediatico della vicenda. Il giudice dei provvedimenti coercitivi Ares Bernasconi ha dato ragione ai nostri colleghi della Regione e torto al Consiglio di Stato e alla polizia cantonale. Su che cosa? Andiamo con ordine.
Si ricorderà dell’incresciosa disputa tra il procuratore generale Andrea Pagani e il comandante Matteo Cocchi, nell’inchiesta bis sull’abbattimento, in merito alla documentazione della polizia cantonale in merito all’operazione che portò allo sgombero e all’abbattimento dello stabile nella notte tra il 29 e 30 maggio 2021. Una documentazione sulla quale la polizia aveva posto i sigilli, impedendo de facto al Procuratore generale di poter visionare le carte. Uno scontro mai visto tra due poteri dello Stato che, di norma, dovrebbero collaborare in totale trasparenza. Fatto sta che per risolvere la vertenza c’è voluta una decisione del giudice dei provvedimenti coercitivi che, accogliendo le richieste di Pagani, ha “disigillato” le carte.
Ebbene, i colleghi della Regione avevano chiesto di poter avere accesso a una copia anonimizzata della decisione del giudice Bernasconi. Per questo il direttore Daniel Ritzter e il vicedirettore Andrea Manna ha presentato un’istanza. A tale istanza si sono opposti sia il Comando della polizia che il Consiglio di Stato. Con queste motivazioni, riportate nell’articolo pubblicato stamane sul quotidiano bellinzonese dove viene data notizia della vicenda.
Il niet di Cocchi e del Governo
“Ritengo - scrive il comandante Cocchi nella sua presa di posizione nell’ambito della vertenza - non vada assolutamente dato seguito” alla richiesta della Regione. “Se il principio di pubblicità e trasparenza si applica alle udienze, sentenze e ordinanze dei tribunali di primo grado e al tribunale d’appello, la procedura preliminare e la procedura davanti al giudice dei provvedimenti coercitivi non sono pubbliche. Dato che la decisione in questione contiene informazioni relative al procedimento penale in corso, viola la presunzione d’innocenza degli imputati”. E ancora: ci sono informazioni che “non devono essere divulgate prima della conclusione del procedimento poiché potrebbero influire sul procedimento ancora in corso o addirittura danneggiare l’immagine delle istituzioni. Va anche osservato che l’anonimizzazione della sentenza come proposta non tutela le persone indicate nella stessa, infatti per semplice deduzione si può risalire ai nomi degli imputati”.
Sulla stessa linea il Governo: “La decisione in questione contiene informazioni dettagliate tuttora oggetto di esame nel procedimento penale ancora in corso, sottostante al segreto istruttorio. Ai sensi dell’articolo 69 capoverso 3 lettera b) del Codice di diritto processuale penale, la procedura dinanzi al giudice dei provvedimenti coercitivi non è pubblica”. Pertanto, alla richiesta della Regione “non deve essere dato seguito”.
Le motivazioni del giudice Bernasconi
Ma il giudice Bernasconi, come detto, è di tutt’altro avviso: “La pubblicità della giustizia costituisce un principio fondamentale dello Stato di diritto che permette a chiunque di assicurarsi che la giustizia sia resa correttamente, evitando l’impressione che determinate persone possano essere favorite o sfavorite ingiustificatamente dalle autorità giudiziarie”. Inoltre, precisa il giudice, “sono stati anonimizzati i nomi e le funzioni all’interno della Polizia. E Si è comunque provveduto a un’ulteriore anonimizzazione rispetto alla bozza inviata alle parti interessate dall’istanza. Si tratta di 12 pagine di decisione, le quali però – contrariamente all’opinione della Polizia cantonale – non forniscono particolari dettagli. Sia il Consiglio di Stato sia la Polizia cantonale non motivano né sostanziano specificatamente ove sarebbe necessaria una anonimizzazione accresciuta”.
Ulteriori oscuramenti “sarebbero chiaramente incompatibili con il principio di pubblicità, anche perché renderebbero la decisione incomprensibile o non permetterebbero al lettore di capire perché questo Giudice abbia concluso in un modo piuttosto che un altro”.
Il commento di Ritzer e Manna
Per questi motivi la Regione dovrebbe ora riceve copia della decisione, salvo che il Governo e o la polizia cantonale non decidano di ricorrere alla Corte dei reclami penali.
“Governo e polizia - scrivono Riter e Manna in un editoriale a commento della vicenda - sono stati richiamati a rispettare i ruoli che ogni potere ricopre (dovrebbe ricoprire) in uno Stato democratico e di diritto, quale è anche la Svizzera. Perché “al bisogno di informazioni della collettività non vanno poste esigenze troppo severe”, annota il giudice dei provvedimenti coercitivi. Perché nel nostro Paese non può e non deve esserci una giustizia segreta. Altrimenti si rischia di accrescere la perdita di fiducia – già compromessa – della cittadinanza nell’intero castello istituzionale”.