BELLINZONA - La vicenda che ha coinvolto in questi giorni in questi giorni il cappellano del collegio Papio e responsabile dell’insegnamento religioso nelle scuole cantonali, l’inchiesta aperta dalla Procura e l’arresto del presbiterio hanno portato alla luce, ancora una volta, la questione dei rapporti tra Stato e Chiesa, più in particolare tra autorità giudiziaria e autorità religiosa. Con questa premessa, i deputati dell’MPS Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini hanno presentato un’iniziativa parlamentare chiedendo di modificare la Legge sulla Chiesa cattolica inserendovi l’obbligo di notifica e segnalazione di reati: “Ogni reato perseguibile d’ufficio o sospetto di reato che concerne un ecclesiastico deve essere immediatamente segnalato all’autorità giudiziaria civile”, recita l’articolo che propongono di inserire nella Legge.
“Le diverse prese di posizione della Curia – scrivono i due deputati -, anche in risposta alle sollecitazioni della stampa – di una interpellanza dell’MPS, hanno permesso di chiarire, almeno in parte, la dinamica temporale dei fatti, ma non hanno risolto una serie di questioni di fondo. Tra queste quella che a noi pare decisiva è quella della tempestività della denuncia da parte delle autorità religiose quando vengono in possesso di informazioni relative alla configurazione di reati che coinvolgono dei religiosi.
Da quanto è emerso finora appare chiaro che la scansione temporale della vicenda ha due fasi. La prima è quella che vede l’inizio della vicenda (la segnalazione, in febbraio secondo le dichiarazioni della Curia) da parte di una persona oggetto dell’attenzione e dei comportamenti inadeguati del sacerdote; questa fase si sarebbe protratta fino ad aprile, quando la vicenda è stata portata finalmente all’attenzione della magistratura.
La seconda fase si estende da questo momento (aprile) fino all’arresto del sacerdote, primi giorni di agosto.
Ora, sulle ragioni che hanno portato al silenzio e al mancato intervento sul sacerdote nella seconda fase – ad oggi sembra con l’accordo della Procura, si dovrà fare chiarezza nel quadro delle disposizioni investigative e giudiziarie. Ma, dal punto di vista politico, appare importante e decisiva la prima fase temporale. In altre parole, è concepibile che tra il momento del contatto con la Curia e la decisione di segnalare la vicenda alla Procura siano intercorsi praticamente due mesi?
L’attuale legislazione non prevede uno statuto particolare per i membri per rispetto ai reati da loro commessi; né tantomeno essa autorizza le autorità ecclesiastiche a “prendersi il tempo necessario” prima di procedere alla segnalazione di fatti che, in qualche misura, possano comunque mettere in pericolo l’integrità di qualcuno o che in ogni caso potrebbero essere reati
gravi.
A nostra conoscenza l’unico articolo nel quale, dal punto di vista legislativo, si affronta la questione della notifica di un reato, è l’art. 7 della Legge sulla Chiesa cattolica che prevede un Obbligo di notifica dell’Autorità giudiziaria così formulato: “Il procuratore pubblico notifica all’Ordinario, al più presto ma al massimo entro tre mesi dall’apertura dell’istruzione, l’esistenza di un procedimento penale a carico di un ecclesiastico, ad eccezione dei casi senza rilevanza per la funzione”.
Non vi sono, per contro, indicazioni sul processo inverso, e cioè su modi e tempi con i quali l’autorità religiosa – avute notizie di atti commessi da un membro del clero non conformi alle regole della Chiesa, ma, anche e soprattutto alle leggi civili - debba comunicarlo all’autorità giudiziaria civile.
Nell’ambito della discussione pubblica emersa sulla vicenda sono molte le voci che (dall’interno della Chiesa o da parte di persone che, attive in passato nell’ambito giudiziario o di polizia) hanno più volte sottolineato la necessità che le segnalazioni all’autorità giudiziaria, in vicende come quella di cui stiamo discutendo, debbano avvenire immediatamente.
Non si capisce per quale ragione l’autorità giudiziaria, con i propri esperti e i vari servizi dello Stato (tra i quali l’aiuto alle vittime, etc.), non possa garantire quel lavoro di “accompagnamento” dei denuncianti che sembra garantirebbero invece strutture della Chiesa come la Commissione di esperti in caso di abusi sessuali in ambito ecclesiale.
A questo proposito, la questione presenta qualche aspetto delicato. Questa commissione è attualmente presieduta da una persona appartenente alla magistratura (il magistrato dei minorenni Fabiola Gnesa, ndr). Si presume quindi che, anche in questa attività, la sua azione debba conformarsi all’obbligo di denuncia previsto dalle disposizioni di legge. Si tratta di una posizione che potrebbe oggettivamente rappresentare delle conflittualità.
Abbiamo già sollevato la questione che affrontiamo in questa iniziativa in una recente interpellanza, sottoponendo al governo una domanda specifica, chiedendogli se non pensasse di dover procedere ad una proposta di modifica della legge”.