Di Amalia Mirante *
Questa settimana la nostra sintesi dell’Economia con Amalia sarà nostro malgrado incentrata sulla guerra e in particolar modo sui fatti economici che la stanno contraddistinguendo. Iniziamo con alcuni dati sui due paesi coinvolti in questa guerra, indicando tra parentesi gli indicatori svizzeri così da poterle paragonare a una realtà che conosciamo.
La Russia è lo stato più grande al mondo e si estende su ben 17 milioni di chilometri quadrati (km2); l’Ucraina con i suoi 603 mila km2 è il secondo stato più grande d’Europa (la Svizzera 41 mila). La Russia conta 144 milioni di abitanti e l’ucraina 44 (8.6 milioni la Svizzera). Nel 2020 il prodotto interno lordo russo è stato di 3’800 miliardi di dollari in PPP; quello ucraino di 531 (PPP indica un’unità di misura, la parità di potere d’acquisto, che consente di fare paragoni più corretti tra paesi perché il prodotto/reddito viene rapportato con il livello dei prezzi così da togliere l’effetto del costo della vita; in Svizzera il PIL in PPP era di 562 miliardi). Se dividiamo questo dato per la popolazione otteniamo il PIL pro capite in parità di potere d’acquisto: quello russo era di 29’100 dollari, quello ucraino di 13’400 (quello svizzero di ben 69’200). Nel 2021 l’;inflazione era del 6% in Russia e del 9,5% in Ucraina (0,5% in Svizzera), mentre la disoccupazione nel 2019 toccava il 4,6% dei russi e l’8.5% degli ucraini (il 2,3% degli svizzeri).
Dal punto di vista delle finanze pubbliche segnaliamo che il debito pubblico in percentuale del PIL era del 22% per la Russia e del 60,8% per l’Ucraina (44% per la Svizzera). Ricordiamo però che questo dato è influenzato dal fatto che la Russia era già fallita nel 1998. Chiudiamo dando un’occhiata alla struttura economica di questi due paesi ritenendo che quella svizzera conta su un contributo del settore primario (agricoltura ed estrazione) dell’1%, del settore secondario (industria e costruzioni) del 26% e di quello terziario (servizi, tra cui commercio, trasporti, servizi alle aziende, servizi finanziari, assicurazioni, studi di ingegneria...) del 73%. L’economia russa è composta dal 4% del settore primario, dal 34% del secondario e dal 62% del terziario. Un po’ più dipendente dall’agricoltura è l’economia ucraina con ben il 10.5% del PIL che dipende da questo settore (26% secondario e 63.5% terziario).
E proprio la ricchezza anche delle risorse agricole è stata messa in evidenza qualche settimana fa nel discorso di Andriy Futey, Presidente del Comitato del Congresso ucraino d’America, un’organizzazione mantello nazionale senza scopo di lucro che riunisce oltre 20 organizzazioni nazionali ucraine americane. L’Ucraina con le sue risorse agricole è uno dei paesi più importanti in Europa e per l’Europa. È il 1° paese in Europa per superficie seminata, il 1° esportatore al mondo di girasole e olio di girasole, il 2° produttore di orzo, nonché il 3° di mais. La coltivazione delle patate lo pone al 4° rango in termini di produzione mondiale. Ma non finisce qui. E 5° produttore al mondo di segale e api, nonché 5° esportatore al mondo di grano.
E che dire delle sue risorse naturali? È il 1° paese in Europa per risorse recuperabili di uranio (utile per le centrali nucleari), 10° nel mondo per quelle di minerale di titanio (utilizzato in campo medico, per realizzare tubi per le centrali elettriche, ma anche missili e navicelle spaziali), è la seconda nazione al mondo per le riserve di minerali di manganese (essenziale nella produzione di ferro acciaio) nonché di ferro. È al 2° posto in Europa in termini di riserve di minerali di mercurio (utile per i prodotti chimici, industriali ed elettronici) e la 3° per riserve di gas naturale, principalmente metano, imprigionato nelle rocce. Senza dimenticare che le sue riserve di carbone la portano al 7° posto in termini mondiali.
L’Ucraina non si limita a estrarre e vendere queste risorse, le utilizza anche a livello industriale. Non a caso è il 1° produttore in Europa di ammoniaca, e si colloca tra il 3° e 4° posto per la produzione ed esportazione di apparecchiature di localizzazione, di lanciarazzi, di turbine per centrali nucleari, di argilla e di titanio. Senza dimenticare che è il 10° produttore al mondo di acciaio. Insomma, questi dati economici spiegano bene perché in molti vogliono mettere le mani su questo paese.
Mani che però il mondo intero o quasi, non vuole siano quelle russe. Così la maggioranza delle nazioni, tra le quali anche la Svizzera, ha imposto sanzioni molto dure e restrittive alla Russia, con lo scopo di distruggerla dal punto di vista economico. Tra queste ricordiamo il blocco delle transazioni della Banca centrale russa che impedisce di fatto di utilizzare una buona parte dei 640 miliardi di dollari in riserve di altre monete detenute all’estero. Si stima che il governo russo le abbia accantonate e non investite nella sua economia negli ultimi anni proprio per far fronte alle sanzioni internazionali e per sostenere l’economia. Probabilmente nessuno immaginava la possibilità di vedersi bloccati i propri beni.
Stessa sorte che sta capitando con il sequestro dei patrimoni, delle ville, degli yacht e in generale dei beni appartenenti agli oligarchi e all’élite russa considerati vicini al presidente Vladimir Putin. Gli oligarchi russi sono diventati miliardari dopo la caduta dell’Unione Sovietica grazie agli enormi vantaggi economici ottenuti attraverso le privatizzazioni degli anni Novanta dei giacimenti di materie prime, soprattutto oro, petrolio e gas. Oro, petrolio e gas i cui prezzi non a caso stanno aumentando notevolmente e che consentono alla Russia di ottenere le risorse finanziarie necessarie alla guerra. Sì, perché anche se 7 banche russe sono state escluse dal sistema di comunicazioni bancarie internazionali SWIFT, Gazprombank e Sberbank rimangono attive per consentire all’Europa di continuare a comperare il gas che serve ai suoi cittadini e alle sue aziende. Ancora una volta l’eccessiva interdipendenza economica tra i paesi tanto inneggiata nei momenti di pace mostra i suoi limiti in quelli di crisi.
Alle sanzioni messe in atto dai Governi dobbiamo aggiungere le sanzioni indirette di questa guerra. Molte aziende hanno annunciato la chiusura delle loro attività, l’interruzione della vendita dei loro prodotti o la fine di ogni relazione di affari con la Russia (IKEA, Nike, Apple, VISA, Maersk...). Questo comporta sia svantaggi diretti per la popolazione russa, sia gravi danni all’economia del paese. Pensiamo a Shell e BP che hanno annunciato la loro intenzione di vendere le quote delle aziende statali russe: ciò implicherà la mancanza di miliardi di investimenti nel Paese, l’aumento della disoccupazione e la crescita della povertà. E non solo: lo sport, la cultura, il mondo dell’arte e della letteratura condannano unanimemente gli aggressori, sanzionando anche gli sportivi e gli artisti russi. Speriamo che presto tutto questo possa finire. Anche perché ricordiamolo, il prezzo più grande di ogni guerra è pagato non dai presidenti, non da coloro che decidono la guerra, ma da uomini e donne che non possono fare altro che subire queste folli decisioni.
* economista