di Amalia Mirante *
Questa settimana la nostra sintesi dell'Economia con Amalia inizia con la situazione internazionale. I dati pubblicati nelle ultime settimane confermano che l'economia inizia a mostrare segni di rallentamento. La fiducia di consumatori e le prospettive delle imprese peggiorano in tutta Europa, ma anche negli Stati Uniti, in Giappone e in Cina le cose non sembrano andare meglio.
I titoli dei comunicati stampa in Italia, Germania e Francia parlano tutti di bruschi cali se non addirittura di crolli. Gli indicatori relativi al comportamento dei consumatori, alle vendite al dettaglio, ma anche al settore manifatturiero preoccupano. Questo porta tutti gli istituti di ricerca a rivedere al ribasso i tassi di crescita per quest'anno.
Sul fronte dei prezzi non giunge nessuna buona notizia, anzi. Negli scorsi mesi ci siamo occupati dei segnali che indicavano l'arrivo di un'ondata di aumenti; la guerra in Ucraina ne ha "solo" ampliato la dimensione e accelerato i tempi. Sentivamo già gli effetti dei ritardi nelle catene di approvvigionamento e di distribuzione causati dalla pandemia (per inciso la Cina sta facendo ancora dei lockdown in molte regioni), l'aumento del costo delle materie prime, del petrolio e delle fonti energetiche, come pure la crescita dei prezzi dei prodotti agricoli. Così nessuno stupore che in Italia i prezzi siano aumentati in marzo in un anno del 6.7%, in Germania del 7.3%, in Francia del 4.5% e nell'Eurozona del 7.5%. Ricordiamo che la stabilità dei prezzi si ha con aumenti attorno al 2%.
Purtroppo anche in Svizzera abbiamo registrato un rialzo storico: +2.4%. Era dall'ottobre del 2008 che non si vedevano queste cifre. A pesare sono principalmente i prezzi dei prodotti che importiamo e che registrano un aumento del 5.5%. Secondo il calcolo del nostro indice dei prezzi al consumo (qui trovate la spiegazione) per questi beni spendiamo "solo" un quarto (25%) del nostro budget. Questo, insieme al franco forte, consente per il momento di registrare aumenti meno forti rispetto agli altri Paesi. Anche se l'effetto sul borsellino lo sentiamo anche noi, eccome. Il prezzo di alcuni beni di consumo di base è lievitato rispetto a un anno fa: l'olio da riscaldamento (+55%), il gas (+38%), la benzina e il diesel (+24%), ma anche la pasta (+19%), i succhi di frutta (+9%) e il caffè (+4%).
E soluzioni forse un po' troppo affrettate paiono quelle messe in atto in Italia. Sono settimane che non passa un giorno in cui non leggiamo dell'entrata in vigore di un bonus o di uno sconto. Il bonus sulle bollette di gas e luce consentirà alle famiglie a basso reddito di risparmiare quasi 1'000 franchi all'anno. Se invece avete comperato nel 2020 una bicicletta, un monopattino elettrico o anche un abbonamento per il trasporto pubblico potrete dedurre il loro costo dalle imposte. Se invece dovete cambiare l'automobile che inquina è questo il momento di farlo: per un veicolo con emissioni tra 0 e 20 grammi di CO2 riceverete più di 6 mila franchi. Ma attenzione, novità dell'ultima ora, il bonus di circa 200 franchi per l'acquisto e il montaggio di pneumatici di classe A o B (meno inquinanti e più sicuri). E ancora: bonus per l'affitto di immobili commerciali se avete subito perdite di fatturato rispetto al 2019, tra gli 800 e i 1'400 franchi per andare in vacanza se siete pensionati e carta giovani (18-35 anni) che vi dà diritto a sconti per viaggiare, negli alberghi, per corsi di formazione, istruzione e lingue, ma anche per intrattenimento e spettacoli.
E che dire del bonus per mobili ed elettrodomestici nuovi? Letti, armadi, scrivanie, forni, lavatrici, frigoriferi (ma chissà perché non porte, pavimenti e tende...) vi consentiranno di ridurre del 50% l'IRPEF, che è un'imposta sul reddito delle persone fisiche. E ancora assegni per figli, esenzioni di tasse scolastiche, contributi per pagare l'affitto. Senza dimenticare gli aiuti stanziati l'anno scorso, tra cui il 90% dei costi sostenuti per il rifacimento delle facciate delle case, il 50% dei costi di ristrutturazione (arrivati fino al super bonus del 110%), la detrazione delle spese veterinarie per gli animali domestici, circa 200 franchi per andare alle terme... E di strettissima attualità, il taglio delle tasse sulla benzina e sui carburanti. Siamo da sempre dei grandi sostenitori della politica fiscale espansiva, ricordando però che va messa in atto quando ce n'è bisogno e soprattutto è sempre necessario verificarne l'efficacia, ossia se l'obiettivo per cui viene fatta è raggiunto. Ora, permetteteci di dubitare che alcuni provvedimenti che vengono messi in atto abbiano effettivamente un effetto sul rilancio dell'economia.
L'Italia è un grande paese, con importanti industrie e con una capacità imprenditoriale da fare invidia a molti. Eppure qualcosa non funziona. Basta guardare l'andamento della spesa pubblica e del debito negli ultimi decenni per vedere difficoltà che non sono più congiunturali (quindi legate a fenomeni transitori), ma strutturali. Al di là delle crisi economiche che sono fenomeni naturali e degli eventi eccezionali come la pandemia appena vissuta in cui è buono e giusto l'intervento dello Stato, nel caso italiano la spesa pubblica sembrerebbe oramai fuori controllo (anche se pure la Francia, la Germania e le altre nazioni europee sembrano aver preso la via della spesa facile). I miliardi che arrivano dall'Unione Europea a nostro avviso non dovrebbero essere utilizzati per sanare situazioni di gestione corrente, ma piuttosto per investimenti per il futuro.
Il debito pubblico non è un male di per sé, anzi: è uno strumento fondamentale nelle mani dello Stato (qui un articolo riassuntivo). E come tale dovrebbe essere trattato. A noi sembra invece che anche il governo con a capo Mario Draghi ricorra spesso a incentivi, bonus, riduzioni e agevolazioni che mettono d'accordo tutte le parti politiche e i loro elettori, ma che poco o nulla hanno a che fare con politiche fiscali efficaci. Delle grandi opere di investimento, innovazione e miglioramento per il momento non se ne sono viste molte. Certo, dopo la pandemia è arrivata l'emergenza legata alla Guerra, però questo non basta a giustificare il ricorso alla spesa pubblica con così grande facilità. È vero che il debito pubblico non deve per forza essere ripagato, lo diciamo da sempre. Ma è anche vero che se i tassi iniziano a salire come sembrerebbe, si può mettere in pericolo l'attività stessa dello Stato.
Il debito pubblico italiano a fine gennaio 2022 era di 2'714 miliardi di euro (2'780 miliardi CHF), in aumento rispetto allo stesso periodo dell'anno prima di oltre 107 miliardi (a titolo di paragone il Prodotto Interno Lordo italiano nel 2021, ossia il valore dei beni e servizi creati, è stato di circa 1'780 miliardi di euro). Forse la nostra è fantapolitica, eppure alcuni indizi sembrerebbero portarci verso l'idea sempre più realizzabile, di un debito pubblico europeo dove far confluire tutti i debiti pubblici delle singole nazioni. A questo punto, poco importerebbe se l'Italia (o anche la Francia) per un paio d'anni vivessero al di sopra delle loro possibilità. Il mondo cambia. Mai avremmo immaginato di pensare a un esercito unico europeo, eppure questa idea ora si fa sempre più spazio. Che non sia così anche per un debito pubblico europeo? Con magari a capo della gestione proprio lo stesso Mario Draghi? Il tempo ci dirà.
Tempo che nel caso del Cantone Ticino purtroppo sembra essersi fermato. I dati dei salari del 2020 appena pubblicati (e di cui ci occuperemo nel dettaglio in un articolo specifico) mostrano che purtroppo la differenza con il resto della Svizzera continua a crescere. Anche se molti faticano ad ammetterlo siamo i più poveri a livello nazionale perché la nostra economia è diversa strutturalmente.
* economista