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13.10.2018 - 10:000

Merlini e l'autodebilitazione, "il diritto internazionale protegge i piccoli stati"

Il liberale, "dire sì all'autodeterminazione darebbe adito a incertezze giuridiche. Rinegoziare non è scontato, se non ce l'ha fatta Trump.. E ora possiamo ricorrere a Strasburgo"

 

di Giovanni Merlini*

Il diritto nazionale è buono, mentre il diritto internazionale è cattivo. Cattivo perché limiterebbe la nostra indipendenza e sovranità. Questa è la tesi di fondo dell’iniziativa cosiddetta “per l’autodeterminazione”. Una tesi avventurosa e priva di alcun fondamento. 

La sovranità sta ad uno Stato come l’autonomia e la capacità di agire stanno ad una persona. Se io decido di concludere un contratto di collaborazione con Tizio perché lo ritengo nel mio interesse, non limito la mia capacità di agire: la esercito. Lo stesso vale per uno Stato. Se la Svizzera, senza che nessuno l’abbia mai obbligata a farlo, ha concluso migliaia di accordi internazionali con centinaia di Stati lo ha fatto nel suo interesse nazionale e quindi ha esercitato la sua sovranità, agendo come nazione indipendente e determinata a rafforzare la sua posizione sul piano internazionale. 

È stato così per evitare la doppia imposizione di società e cittadini svizzeri, per promuovere gli investimenti e il libero scambio commerciale oppure per regolare il traffico dei pagamenti, i controlli doganali, i trasporti aerei, per combattere la tratta di persone e la violenza domestica, per proteggere i nostri brevetti, ecc. 

È stato così anche con i Bilaterali: grazie ad essi abbiamo garantito ai nostri prodotti l’accesso all’enorme mercato europeo senza dover aderire all’UE ed evitando allo stesso tempo un fatale isolamento economico. Oltre a non essere cattivo, il diritto internazionale non è neppure straniero: è diritto comune e quindi anche nostro. Si tratta infatti (in ragione di circa il 95%) di diritto contrattuale e in quanto tale appartiene agli Stati contraenti, Svizzera compresa. Essendo anche nostro, il diritto internazionale ci consente p.es. di rivolgerci agli organismi dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC)per chiederne l’intervento di fronte alla guerra dei dazi scatenata da Trump, con i suoi effetti penalizzanti per la nostra economia di esportazione. E potremo fare lo stesso se nelle prossime settimane la Commissione europea limitasse nuovamente ad un solo anno il riconoscimento dell’equivalenza della nostra normativa borsistica.

Il diritto internazionale è il giubbotto antiproiettile dei piccoli Stati che, non potendo far valere il diritto della forza, si difendono con la forza del diritto. 

Ma è anche lo scudo che protegge i nostri diritti e quelli delle minoranze. Grazie alla Convenzione europea sui diritti dell’Uomo (CEDU) ratificata dal nostro parlamento nel 1974 e nel mirino degli iniziativisti, ognuno di noi può impugnare davanti alla Corte di Strasburgo una decisione del Tribunale federale (TF) in contrasto con uno o più diritti fondamentali garantiti dalla CEDU.

Ne sanno qualcosa le figlie di un lavoratore argoviese deceduto nel 2005 a causa di un mesotelioma pleurico dovuto al contatto prolungato con l’amianto durante la sua attività in fabbrica. Il TF aveva dovuto respingere la richiesta di indennizzo della famiglia perché la pretesa risarcitoria era già prescritta. Per contro, la Corte di Strasburgo ha accolto il ricorso nel marzo 2015, stabilendoc he un termine di prescrizione di soli 10 anni in caso di danni corporali o di decesso inseguito ad atto illecito risulta incompatibile con la garanzia di un processo equo. Il legislatore federale è quindi poi corso ai ripari, prolungando a 20 anni la prescrizione per questi casi. 

La possibilità di ricorrere a Strasburgo è quindi essenziale, dal momento che il TF è tenuto ad applicare una legge federale anche se ne accerta l’incostituzionalità. Ma è pure importante perché la nostra Costituzione può essere modificata in ogni momento, anche con nuove disposizioni che violano i diritti fondamentali. 

Rinegoziare da subito tutti gli accordi internazionali in contrasto con la nostra Costituzione, come chiede l’iniziativa, è una pia illusione. 

Per rinegoziare un trattato bilaterale occorre essere in due, non basta che la Svizzera lo esiga. Se poi si tratta di un trattato multilaterale, lo devono volere tutti gli Stati firmatari. Lo stesso Trump, che credeva di riuscire a rinegoziare l’Accordo di Parigi sul clima, ha dovuto ricredersi: i suoi sforzi si sono risolti in un nulla di fatto. Se non ci riescono gli USA, figurarsi un piccolo Stato come il nostro. 

L’iniziativa prevede che il trattato in questione vada disdetto “ove necessario”, se non è possibile rinegoziarlo. Ma chi stabilirà se è necessario? Non è nemmeno dato sapere chi, quando e come procederà alla disdetta: il Consiglio federale, il Parlamento, i tribunali? E come la mettiamo con la sovranità popolare, se il trattato in questione è stato approvato dal Popolo? 

L’incertezza giuridica la farà da padrone e i conflitti di competenza sono già programmati. Su tutti gli attuali accordi internazionali ratificati dal nostro Paese penderà la spada di Damocle di un’eventuale disdetta, con grave pregiudizio alla nostra affidabilità internazionale.

Questa non è autodeterminazione: è semmai autodebilitazione.

*Consigliere Nazionale PLR

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