di Lorenzo Quadri*
Nei giorni scorsi si è saputo che perfino il ministro degli esteri Ignazio Cassis considererebbe “morto e sepolto” il famoso nuovo accordo con l’Italia sulla fiscalità dei frontalieri.
Ma va? Nel 2020 saranno cinque (!) anni che siamo in ballo con questo trattato, la cui firma era stata spacciata per “imminente” già nel 2015! Ed intanto, in nome dell’accordo da sottoscrivere – o piuttosto: usando come pretesto l’accordo da sottoscrivere – le genuflessioni davanti al Belpaese sono proseguite ad oltranza. A partire dalla mancata applicazione della mozione Pantani, approvata dal parlamento (che ancora in settembre ha rifiutato di dichiararla evasa) per la chiusura notturna dei valichi secondari.
Ovviamente i vicini a sud lo sanno bene e se la ridono: tenendo l’accordo nel limbo, facendo credere che una firma sia sempre possibile, fanno ballare gli svizzerotti (“che tanto sono fessi e non si accorgono di niente”) alla musica che vogliono loro!
Non serve certo essere sottili diplomatici né finemente psicologi per capire certi meccanismi.
Per anni i burocrati federali euroturbo si sono prodotti in questo squallido ricattino: “chi infastidisce la vicina Repubblica, specie se ad essere molesti sono i soliti ticinesi, poi si assume la responsabilità del fallimento delle trattative sul nuovo accordo fiscale sui frontalieri”.
Ma adesso, se perfino Cassis reputa che l’accordo sulla fiscalità dei frontalieri sia “molto e sepolto”, per i vicini a sud la ricreazione è finita.Perché dalla notizia del trarre le dovute conseguenze. Vale a dire:
- Dichiarare ufficialmente che le trattative sono fallite, per colpa dell’Italia;
- Disdire unilateralmente la Convenzione del 1974;
- Il Ticino deve bloccare il versamento dei ristorni dei frontalieri.
Questo accadrebbe in un Paese normale. In un Paese i cui governanti sono succubi dei funzionarietti dell’UE, invece, le cose potrebbero andare diversamente. Sono aperte le scommesse.
*Consigliere Nazionale Lega