di Guido Sassi*
Prendo spunto dalla lettura della mia rassegna stampa settimanale, per fare con voi tutti alcune riflessioni. La prima. Da più parti ci si lamenta che a un anno e più dallo scoppio della pandemia siamo punto a capo: spostamenti verso l’estero limitati, commercio contingentato, ristoranti chiusi, obbligo della mascherina anche all’aperto in centro città. Oltre al timore sempre presente di strutture sanitarie non in grado di garantire una adeguata assistenza in caso di complicazioni. In realtà, anche se le restrizioni restano sostanzialmente le stesse, cambia lo stato d’animo con il quale vengono vissute. Un anno fa si brancolava nel nulla, eravamo tutti impreparati e il lockdown ci ha fatto precipitare in un tunnel. Oggi, da questo stesso tunnel intravediamo la luce perché non solo esiste il vaccino (questione di pochi mesi e saremo tutti immunizzati), ma sta circolando un vaccino più potente: quello contro la paura e della voglia di tornare a vivere. Anticorpi che prendono forma negli atti di insubordinazione di alcuni adolescenti alla Foce, negli assembramenti di giovani in orario di aperitivo, nel garbo (e allo stesso tempo imbarazzo) delle nostre forze dell’ordine costrette a far rispettare norme che fino a un anno fa non avevano alcun titolo ad esistere.
Da qui prende spunto la mia seconda riflessione: siamo pronti alla ripartenza? Tanti mesi costretti a stare fermi e a pensare, cosa ci hanno insegnato? A tal proposito, leggevo con interesse quanto sta accadendo a Faido, dove proprio in questi giorni un gruppo di portatori di interessi – investitori, imprese, istituzioni – si stanno costituendo in una cabina di regia supportata da un pianificatore di Zurigo e un ricercatore dell’Università della Svizzera Italiana. Fin qui nulla di strano, se non il fatto che questo organismo sia nato dal basso (privati che hanno investito soldi), si sia imposto con forza all’attenzione delle istituzioni (il Comune, appunto) e si sia affidato – per ricerca e metodo – a un attore super partes (l’USI).
Chi mi segue nel ragionamento avrà capito di sicuro dove voglio arrivare: alla costituzione di una commissione del turismo, con il compito di dare chiare indicazioni per il rilancio di un settore in crisi già prima della pandemia. Un gruppo qualificato di professionisti che con il loro sapere (conoscenze) e saper fare (competenze) si impongano a chi fa la politica di mestiere, ricucendo una frattura oramai consumata tra economia ed istituzioni.
Stakeholder che siano espressione del territorio, impregnati di esperienza nel settore alberghiero, artigianale, dalla cultura e dall’agricoltura. Insomma, una grande forza proveniente da “chi fa” davvero, con lo scopo di ridisegnare le strategie di sviluppo delle attività turistiche. E che sia la coscienza critica degli enti preposti alla creazione di infrastrutture, al buon funzionamento dei trasporti e alla promozione del turismo, Lugano Region in primis.
Mi sia concessa una terza riflessione. Abbiamo sciupato troppi anni nell’immobilismo dettato non solo dal covid, ma anche da una politica molle, salottiera e senz’alcuna visione. E così, come a scuola, quando i compiti non vengono fatti a casa a tempo debito, si arriva impreparati e a un punto di non ritorno: i ritardi del polo congressuale di Campo Marzio e della riqualificazione dell’ex Macello, i progetti faraonici del lungolago, l’incompiutezza del PVP, la figuraccia fatta con l’aeroporto.
Tutto questo mentre medi e piccoli commercianti, grande distribuzione, ristorazione e settore alberghiero sono sempre più in affanno e alcuni di loro rischiano di non aprire più. Tutto questo mentre venivamo costantemente anestetizzati da soluzioni tampone: come se bastasse un Mojito bar, una Lugano marittima o un food truck sul lungolago per il rilancio turistico. Un amico critico d’arte direbbe: “capre, capre, capre”. Io – che mi reputo di spessore più modesto – mi limito a dire: “miopi, miopi, miopi”.
Possibile che non si riesca a capire che dobbiamo smetterla con idee megalomani e lavorare di fino, promuovendo i piccoli commerci, restituendo il mercato alle piazze, preservando le botteghe artigiane, riportando in vita – con persone, attività e rumori sulle vie – una città spenta. E a tal proposito, se qualcuno mercoledì su Tele Ticino si crogiolava, ironizzando, del fascino decadente di una Lugano che tanto piace agli stranieri, ebbene penso che questo qualcuno – in quanto totalmente scollato dalla gravità che stiamo vivendo – debba cedere il posto nella prossima legislatura a chi riesca a promuovere non la decadenza, ma la rinascita della nostra Lugano.
*candidato per CC PLR Lugano, lista 2.45