"È sconcertante constatare che i politici, pur ammettendo che non vi è nulla di illegale, ritengano che indossare un outfit femminile, costituisca per un giudice un comportamento da ghettizzare fra le mura domestiche"
di Francesca Verda Chiocchetti e Siro Quadri
(opinione pubblicata su LaRegione del 19 febbraio)
Perché fa notizia la foto di Francesca Verda Chiocchetti e di Siro Quadri? Per quale motivo una donna viene biasimata per essere stata ritratta seduta in discoteca? Perché viene criticata per l’abito che indossa, quando quell’abito perfino nemmeno è scollato e la gonna rasenta il ginocchio? Per quale motivo chi l’accompagna non può indossare abiti femminili? Perché ciò sarebbe incompatibile con la funzione di giudice?
Nel corso delle scorse settimane, in diversi programmi su TeleTicino, più esponenti dei partiti di governo si sono goffamente cimentati su questi temi. Ne è uscito un quadro sconcertante. Sconcertante in Svizzera. Ed ecco perché lo è.
Nel 1948, dopo due conflitti mondiali e l’Olocausto, in seno alla comunità internazionale post-bellica si è materializzato l’intento di aprire una nuova fase storica fondata sull’uguaglianza di tutti gli esseri umani senza più alcuna distinzione.
Nacque così la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, i cui contenuti sono stati ripresi dalle Costituzioni dei Paesi europei e, alle nostre latitudini, dalla vincolante Convenzione europea dei diritti dell’uomo conclusa a Roma nel 1950. La Svizzera ha seguito questa onda di cambiamento giuridico-culturale, aderendo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel lontano 1974 per poi, finalmente, dotandosi nel 2000 di una nuova Costituzione federale ampiamente ricettiva dei diritti fondamentali. In Ticino una Costituzione che garantisce espressamente i diritti fondamentali esiste ancor prima di quella federale, ossia dal 1997.
La nostra cultura
Questa è la nostra cultura. Senza se e senza ma. Questi sono i valori che chi ci precede ci ha tramandato, si tratta dei nostri nonni, dei nostri genitori, e, per taluni, si può già parlare finanche di bisnonni. Ora, i più alti garanti dei diritti fondamentali all’interno di uno Stato, sono i giudici. Essi sono tanto più in grado di adempiere al loro ruolo di garanzia, quanto più nella loro vita fruiranno essi stessi dei diritti fondamentali che sono chiamati a tutelare. Avessero paura di farlo, non sarebbero in grado di giudicare correttamente, poiché imbrigliati da paure stigmatizzanti e pregiudizi che impedirebbero loro la serenità necessaria per giudicare correttamente, senza disparità. Dire loro di non esercitare le propria libertà fondamentali, è catastrofico in quanto equivale a spazzare via con bieco colpo di spugna la nostra cultura, tanto combattuta, tanto preziosa e tanto cara a chi è arrivato prima di noi, decenni prima di noi.
Le libertà fondamentali sono state volute come intangibili, vale a dire inviolabili, non scalfibili. E questo perché chi ci ha preceduto e ha gettato le fondamenta dello Stato democratico di diritto ben sapeva che sarebbe potuto (purtroppo ancora) arrivare qualcuno che esercitando, come politico, come giudice, o altro, il proprio potere avrebbe potuto, con la semplice spiegazione che “sì, non è illegale ma è inopportuno” riproporre scenari tanto immorali da essere disumani. Se a qualche politico, come da citazioni qui sotto riportate e sentite in questi giorni, non è gradito che nella Costituzione svizzera e nella Costituzione ticinese siano ancorate le libertà fondamentali e vuole offuscarle, libero di farlo ma chiedendo prima al popolo di votare la cancellazione della nostra già codificata cultura. Questo è un invito alla classe politica a tornare coi piedi per terra e a ragionare, a ricordarsi il giuramento, che hanno fatto quando sono stati proclamati eletti, alla Costituzione e alle leggi vigenti, ossia, in definitiva, a mai tradire il popolo che ben gli ha indicato i margini entro i quali essi sempre devono parlare e agire. Sono questi i margini che devono essere ossequiati. La legge non autorizza a imporne altri. Tutto il resto sono parole al vento.
Falsi moralismi, ciechi pregiudizi
Irrilevante in politica sono i falsi moralismi, i ciechi pregiudizi e tutti quei proclami che non collimano con i principi consacrati nelle leggi. Queste sì fondate sui criteri democratici e non su personalismi e smania di protagonismo. Il tema di questo testo non è solo l’orientamento sessuale, l’identità di genere o l’autodeterminazione delle persone raffigurate nella foto, bensì la dignità e i diritti fondamentali di tutt*.
Constatiamo con estremo disappunto e preoccupazione che nel panorama politico ticinese, nel 2025, si è costretti a sentire dei politici – che rappresentano il popolo (tutto il popolo) – sostenere che un giudice in Svizzera: non può avere “vita privata”; deve rinunciare alla propria “opinione personale”; può fare ciò che gli pare solo a “casa”, non in pubblico. Constatiamo con estremo disappunto e preoccupazione che nel panorama politico ticinese, nel 2025, si è costretti a sentire dei politici sostenere che se due giudici si recano insieme a un evento esprimendo semplicemente loro stessi questo loro atteggiamento: è in urto con la “nostra cultura”; desta “incredulità”; è in urto con i canoni di abbigliamento che ci si aspetta da “chi ha svolto una carica pubblica”; è in urto con i canoni “morali” che ci si aspetta da un giudice; è privo della “serietà necessaria”; crea un “danno grave per la giustizia”; costituisce uno “spettacolo penoso che non arriva neanche alle caviglie di qualcuno che pretende di fare questo mestiere senza essere giudicabile mai” (proprio così è stato detto, l’apoteosi del peggio); è contrario al “codice etico” della magistratura che ancora non esiste, ma che dovrebbe essere introdotto; non è illegale, ma è “inopportuno sicuramente”.
Due fattispecie imparagonabili
È sconcertante constatare che i politici, pur ammettendo che non vi è nulla di illegale, ritengano che indossare un outfit femminile, comunque adatto, costituisca per un giudice un comportamento da ghettizzare fra le mura domestiche.
C’è anche chi è arrivato ad asserire che la foto dei due giudici sia paragonabile al comportamento di chi ha inviato a una subalterna, che non lo desiderava affatto, una fotografia raffigurante due giganteschi falli di plastica eretti con in mezzo una donna in sommessa attesa e con la dicitura “ufficio penale”. Questo giornalista ha infatti dichiarato laconicamente “chi di morale ferisce, di morale perisce”. Questa persona, questo giornalista, evidentemente nulla conosce delle nostre Costituzioni. E proprio come chi dimentica il contenuto delle stesse, si fa trasportare con enfasi da un suo concetto tutto personale di morale, concetto che, in realtà, nulla ha a che vedere con i principi e il rispetto delle libertà degli altri. E questo perché le due fattispecie sono assolutamente imparagonabili: nella foto, i due giudici destituiti sono raffigurati con atteggiamento innocuo e non lesivo delle libertà altrui; diverso è invece il caso dell’immagine dei due giganteschi falli di plastica eretti con in mezzo una donna in sommessa attesa e con la dicitura “ufficio penale”, perché tale invio è lesivo della libertà della destinataria che non desiderava affatto subire la visione di una sconcia immagine inviatale da un suo superiore. Il giornalista parla di “perire”, ed ecco il facile “sarcasmo” di chi si rallegra della destituzione di due giudici con la motivazione, contestata per vie ricorsuali, di aver proprio segnalato alle autorità competenti l’inaudito atto del collega giudice, atto violante proprio i diritti della personalità di una dipendente.
Dal patriarcato alla libertà
In tutta questa storia emerge in maniera inequivocabile che troppe persone nella Svizzera italiana, facenti parte delle istituzioni e della stampa, sono (purtroppo ancora) fautori e favorevoli al patriarcato. Chi è o si avvicina al mondo femminile, non risulta degno.
In definitiva le nostre Costituzioni, così come volute con lungimiranza dal popolo svizzero e ticinese e delle quali tutti noi dobbiamo andarne fieri, non fanno altro che codificare un principio molto semplice e rispettoso, proprio della nostra cultura: fa ciò che ti piace, ciò che desideri, purché non nuoccia alla libertà altrui.