Cronaca
21.01.2017 - 16:000
Aggiornamento: 21.01.2022 - 14:40
Ada Marra, «la caratteristica che unisce tutti gli svizzeri è il rispetto. E sul volantino in arabo dico che...»
La socialista parla della riforma per faciliare la naturalizzazione degli immigrati di terza generazione. «Non sono più nemmeno immigrati, conoscono solo la Svizzera. Non ho trovato la donna col burqa...»
BELLINZONA - È una delle principali fautrici dell'agevolazione della naturalizzazione degli stranieri di terza generazione, lei che è figlia di immigrati e si è interrogata a lungo, ci dice, sul significato di sentirsi svizzeri. Oggi la Consigliera Nazionale vodese socialista Ada Marra è ospite di un dibattito organizzato dalla GISO sul tema, ne abbiamo approfittato per parlare con lei di integrazione e naturalizzazione.
Come mai ha deciso di proporre questo tema?«È partito tutto nel 2008, dopo il rifiuto del popolo dell'iniziativa dell'UDC “Per naturalizzazioni democratiche”, secondo cui le procedure di naturalizzazione sarebbero dovute essere sottoposte a votazione popolare nei comuni. Siccome il dibattito sul tema era stato abbastanza forte, ed era stato dimostrato che essere naturalizzati è una lotteria, a seconda di dove si nasce, ho pensato che era il momento giusto di proporre qualcosa per gli stranieri di terza generazione».
Gli immigrati di terza generazione sono ormai svizzeri, anche senza passaporto, per lei?«Secondo me si può dire che alla terza generazione l'integrazione è certamente più forte che alla prima, e non vanno utilizzate le stesse procedure per la naturalizzazione nei due casi».
Probabilmente avrà parlato con alcuni di loro: si sentono svizzeri? Vogliono diventarlo?«Non lo so, vedremo. Ovviamente non sono obbligati a farlo, se passa la riforma. Di sicuro si sentono parte di questo paese, non hanno conosciuto nient'altro che la Svizzera. E non solo loro, anche i loro genitori. I legami col paese di origine non ci sono quasi più, o persistono quelli che io chiamo "romantici", ovvero questi giovani passano le vacanze nel paese di origine, lì vive una parte della famiglia. Ma questo non definisce l'appartenenza! Non è il luogo dove si passano le ferie a definire l'origine, essa è data da quello dove si parla, si vive, si ama, si lavora, si studia, anche dalla lingua che si usa».
Lei è figlia di immigrati italiani, per cui queste sensazioni e queste riflessioni le avrà vissute in prima persona, giusto?«Già il termine immigrata di seconda generazione è falsa, io non sono immigrata, ho sempre vissuto qui. Sono figlia di immigrati, e questo ha fatto sì che mi ponessi delle domande su identità e patriottismo, che magari altre persone non si fanno».
E cosa si è risposta?«Sono contro il nazionalismo e a favore del patriottismo, che sono due cose diverse. Queste domande fanno però perdere un sacco di tempo alle persone. Per 25 anni mi sono chiesta "di dove sono?", poi ho capito che il quesito era sbagliato. Io sono di dove vivo, magari parlo anche il dialetto salentino e non lo svizzero tedesco. Ciò che ci accomuna è cercare di vivere insieme bene in questo paese. Mi sento completamente losannese, completamente romanda, ma non posso dire di sentirmi come un contadino di Uzwil, come egli non può sentirsi come uno di Losanna. In una Confederazione come la nostra la domanda è ancora di più difficile risposta, parliamo tre lingue diverse, abbiamo religioni diverse, non abbiamo gli stessi programmi scolastici».
Dunque, che cosa unisce gli svizzeri?«Sicuramente, la volontà di vivere insieme. Qualcuno si chiede cosa è la particolarità della Svizzera, secondo me è il rispetto, delle differenze. La riforma da noi proposta non toglie niente a nessuno, vuol solo che la terza generazione può essere facilitata nella procedura. Dovranno in ogni caso fare la richiesta, la volontà di essere svizzero deve manifestarsi attraverso di essa».
Come mai la destra teme così tanto questa riforma?«Non lo so, onestamente. È un periodo in cui si confonde tutto, appena si parla di migrazione tutte le tematiche vengono mischiate: prima generazione, seconda generazione, clandestini, profughi, asilanti. La popolazione di cui parliamo nella riforma ha caratteristiche diverse da altre, non si tratta nemmeno più di stranieri: non possiamo mettere sullo stesso piano uno straniero di terza generazione e un profugo».
Lei cercava una ragazza, immigrata di terza generazione, che portasse il burqa, offrendo anche dei soldi. L'ha trovata?No... potrei anche alzare la posta in palio (ride, ndr), non esiste! Pensiamo ai manifesti, c'è una visione come se il tempo non facesse il suo lavoro di integrazione. Se riteniamo che la terza generazione porta ancora il burqa, è come dire che i nipoti degli italiani, dato che si parla al 60% di loro, mangiano solo spaghetti e ballano solamente la tarantella».
A voi che proponete la riforma non importa quale sarà la religione dei futuri naturalizzati, pare di capire...«Questo è evidente. Il problema è che si rende la religione essenziale, ma una persona non si definisce unicamente con essa».
In molti ritengono o temono che il PS porti avanti questa tematica credendo che i "nuovi svizzeri" voterebbero socialista, cosa ribatte?«Non è una riforma portata solo dai socialisti e da Ada Marra, anzi è lontana dal progetto iniziale che io avrei voluto, ed è stata concordata in Parlamento anche col centro destro. Dove gli stranieri hanno il diritto di voto a livello comunale non si è constatato nessun cambiamento nei rapporti di forza. È come pensare che tutti gli svizzeri votano in un modo e tutti gli stranieri in un altro, non è così: ci saranno futuri stranieri che voteranno destra e altri sinistra, come accade con gli svizzeri».
Questa mattina sono scoppiate delle polemiche per il volantino scritto in arabo dal suo partito (in particolare, si sono infuriati Marchesi e Chiesa).«È stato scritto non solo in arabo, ma anche in tamil o in italiano. È un appello con cui stiamo cercando di toccare le comunità, che sono le prime interessanti. Ma è stato messo l'accento solo sul volantino arabo, per la perenne paura dell'Islam».
Ma altri affermano che, se queste persone fossero realmente integrate, non avrebbero bisogno di un volantino nella propria lingua, non crede?«Noi ci rivolgiamo a associazioni che comprendono prima e seconda generazione, non è detto che saranno loro a votare, possono chiedere ai figli, che sono magari naturalizzati, di andare a farlo».
Quanto sarebbe una vittoria di Ada Marra, se vincesse il sì?«Quanto lo sarebbe se fosse una sconfitta? In entrambi i casi, non lo so».