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Cronaca
01.06.2018 - 16:370
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:51

Essere omosessuale in Ticino. "Mai avuto problemi, credo sia per come mi pongo. A chi si reprime e finge, dico di essere quel che sente di essere. Il nostro è un Cantone aperto"

A cuore aperto con un ragazzo omosessuale: dalla scoperta all'accettazione sino al momento in cui l'ha detto ai suoi. "Per mia mamma è stata una conferma, il sogno di ogni madre è diventare nonna ma vuole vedermi felice. Non adotterei mai, e del matrimonio dico che..."

LUGANO – Il Ticino ha gli occhi puntati su Lugano, per il primo Pride, ovvero la settimana dell’orgoglio LGTB nel nostro Cantone. Le discussioni sono note, a cui si sono aggiunte quelle per i vari rosari. Ma cosa vuol dire essere omosessuale in Ticino?

Ce lo ha raccontato un ragazzo, di cui noi conosco il nome, e che preferisco non dire: lui, aperto e disponibilissimo, non ha chiesto l’anonimato. Ho scelto di mantenerlo, affinchè ciascuno si possa rivedere in lui, e augurandomi che chiunque possa raccontare una storia di accettazione come la sua.

Quando hai capito che il tuo orientamento non era eterosessuale?
“Attorno ai 12 anni, si capiva che guardavo i ragazzi più che le ragazze. Il fatto di accettarlo è arrivato verso i 17 anni, stiamo comunque parlando di una ventina di anni fa ed era un po’ diverso”.

Cosa intendi per accettarlo? Hai provato a combattere il tuo orientamento?
“No, mai. Quel che intendo è che non capisci subito cosa sta succedendo e resti un po’, come dire, stupito. È tutta questione di capire che cosa si è”.

E quando l’hai capito, la tua vita è stata più facile o più difficile?
“Facilissima, molto facile. Come prime persone l’ho detto ai miei, e ho avuto per fortuna il loro appoggio. Cosa ricordo di quel momento? Mia mamma se lo aspettava, le ho dato solo una conferma di ciò che dubitava”.

Se non l’avessero accettato, che cosa avresti fatto?
“Dentro di me sapevo che non avrebbero avuto alcun problema. Penso che altrimenti avrei fatto la mia vita senza dare giustificazioni a loro e senza preoccuparmi di quel che avrebbero pensato”.

E dagli amici sei stato subito accettato?
“Non ho mai avuto alcun problema. Anche le persone più improbabili, gente di montagna, definita chiusa, perfino un amico che faceva parte di un gruppo dichiaratamente contro gli omosessuali mi hanno accolto come sono. Penso che a volte sia la stessa comunità LGTB ad avere pregiudizi. È vero, ci sono discriminazioni e non lo nego, anche se io ho avuto fortuna di non aver mai nessuno contro di me, però sembra vogliano fare le vittime e ciò mi dà fastidio. Ho conosciuto persone che hanno avuto problemi, però appunto credo che sia una questione di come ci si espone. Io non li ho avuti per come mi presento. Per esempio, quando avevo 17 anni frequentavo i bar gay, poi mi sono detto che non aveva senso farlo per essere me stesso in quanto lo ero già, in quel modo apparivo diverso. Ora vado in un bar normale e faccio quel che voglio, mi comporto come sono io, come mi sento. Magari succede che una persona sbaglia a dire qualcosa, una frase, e viene attaccato come se avesse ucciso, ognuno ha il diritto di esporre il pensiero. Se non la pensi come i gay sei omofobo, tirano subito le conclusioni. In gran parte la colpa se non sono accettati è perché sbagliano il modo di porsi, anche se ci sono le eccezioni. Il sistema migliore è essere solo sé stessi”.

Dunque il Ticino per te è un Cantone aperto?
“Sì. Vivo in valle, lavoro in valle e sono amato da tutti, non ho mai avuto problemi, con ragazzini e anziani, e tutti sanno di me. Forse perché sono sereno e sto bene con me stesso? Può essere. A me non interessa se ci sono persone a cui il mio orientamento non va bene. Se qualcuno fa la battuta quando non ci sono non lo so, non ho mai avuto alcuno screzio”.

Credi che trovare un compagno nella comunità LGTB sia più semplice o più difficile che in quella etero?
“Penso che alla fine sia uguale, non ci sono differenze. C’è chi ha voglia di impegnarsi a costruire qualcosa e chi invece prende solo in giro gli altri”.

Qual è invece la tua opinione su matrimonio e adozioni?
“Sono d’accordo col matrimonio come unione registrata, mentre se è in chiesa sono contrario. Per quanto riguarda le adozioni, personalmente non lo farei mai. Se c’è la possibilità di dare un bimbo a una coppia etero la preferirei come soluzione, ma meglio crescere con due uomini che in un orfanatrofio. Personalmente non lo adotterei, non è nella mia indole questa esigenza, per il mio orientamento. Se sono nato così è perché vuol dire che non devo essere padre. Non mi è mai mancato. Potrebbe essere che in ogni caso non avrei voluto figli, non so”.

Questo fatto, ovvero la mancanza di bimbi, non è un peso per la famiglia?
“Il sogno di ogni mamma è diventare nonna. Ne ho parlato con mia madre, mi ha confermato questo, però lei vuole che suo figlio sia felice. Poi io ho una sorella con figli, per cui lei ha dei nipotini”.

Se hai un compagno, lui come vive?
“Sì, c'è. La pensa esattamente come me. È però molto riservato in confronto a me, anche se lo sanno tutti è molto diverso da me, non giriamo per esempio a mano o non ci scambiamo baci ma per una cosa nostra. Non è una privazione per me, è qualcosa che non mi manca”.

Ci sono persone che cambiano orientamento sessuale nella vita. Cosa ne dici?
"Per me chi cambia prima reprimeva quel che era realmente, per la società e genitori, poi si rende conto che sta facendo una vita sbagliata, pensa a sé stesso e fa quello che sente di essere dentro di sé. La cosa brutta è che ho conosciuto gente per la società si mostra con la ragazza, che posta su Facebook baci e ‘ti amo’ e si diverte di nascosto coi ragazzi. Il Ticino ne è pieno, ne conosco a decine: temono la reazione degli altri e piuttosto che affrontare il problema si fanno vedere belli. Non conosco invece casi di omo divenuti etero, per cui non so”.

Cosa diresti a questi ragazzi (o ragazze) che si reprimono?
“Di smetterla di fare quello che vuole la società ma di essere quello che vogliono essere”.

E ai genitori che non accettano l’orientamento dei figli?
“Di provare a mettersi nei panni del loro figlio e rendersi conto di che vita brutta gli farebbero fare a imporgli una strada che non vogliono percorrere”.

Paola Bernasconi
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