BELLINZONA - Oggi é la giornata mondiale dei diritti delle donne. Sui social si sprecano gli auguri, i messaggi. Fortunatamente in molti stanno ricordando come negli ultimi anni l'8 marzo non sia solo l'occasione per godersi spogliarelli e giornate all'insegna della leggerezza (tra l'altro proibiti in epoca Covid) bensì un giorno dove parlare di parità e discriminazione.
Ho voluto chiedere, in vari canali, alle donne di parlare di eventuali discriminazioni subite. Dapprima le risposte hanno faticato ad arrivare, come se per una donna fosse quasi una vergogna o un tabù parlarne. Poi, piano piano, la diga si è aperta e sono stati toccati diversi temi: da quello onnipresente del ruolo della donna in un'economia domestica a quello delle difficoltà sul lavoro, soprattutto per le mamme.
"Come donna sono discriminata da sempre. Poi tutto è peggiorato quando mi sono sposata perché automaticamente si fanno i figli (prima no?, mi chiedo). Ho dovuto abbandonare il mio lavoro perché non riuscivo a rientrare più ad una percentuale pari o superiore al 80%. Ora lavoro al 50% da quando ho i figli ma è una lotta continua. Purtroppo la donna /madre non è tutelata o aiutata anzi se le si possono mettere i bastoni fra le ruote. L'pstacolo maggiore che devi sempre dimostrare e dare il 1000%, conciliare la vita lavorativa e famiglia e mancano tante strutture in Ticino", ci dice una mamma.
Un'altra commenta amara: "Io, onestamente, devo ringraziare il fatto che, in vista di una possibile maternità, abbiano deciso di sacrificare me, al rientro dal viaggio di nozze. Così ho avuto l'opportunità di lasciare un posto di lavoro tossico, coi giorni contati, a favore di uno in amministrazione pubblica, quindi più tutelato".
Il ruolo della famiglia torna spesso. "La mia capa durante il lockdown non voleva concedermi di poter lavorare da casa per accudire mia figlia. Mi ha detto che la uso solo quando mi fa comodo...", ci ha raccontato un'altra.
Non migliorano le question nella gestione della vita familiare. Ecco arrivano un altro sfogo di una mamma. "Mi sento discriminata principalmente nella gestione della casa, perché anche il marito/compagno più attivo considererà il fatto di aiutarci una "concessione", un aiuto per l'appunto, anziché una divisione automatica e normale della suddivisione dei lavori. Ciò avviene indipendente dal fatto che la donna lavori magari a tempo parziale o meno. In caso di lavoro a tempo pieno (in linea di norma) spesso c'é piu suddivisione (o si dà in gestione a terzi alcune incombenze: stiro-pulizie-babysitting), mentre con il lavoro parziale o il lavoro integrale di casalinga ciò viene a cadere. Così una mamma lo é sempre, da lunedi a domenica 24h al giorno, e i lavori di casa sono ovvii (perché lui lavora!). E la domenica si é sempre attive (perché lui è stanco!). È bizzarro infatti notare che le donne separate/divorziate siano più rilassate.... perché almeno una volta a turno hanno anche loro il sabato sera libero la domenica di riposo!". Paradossale, appunto.
Sul tema qualcuna va contro corrente. "Siamo le prime a dover smettere di auto discriminarci accettando certe situazioni. Accettare di esser sempre quella che cucina, lava, fa il bucato, pulisce e fa la spesa è declassante (se entrambi lavorano, entrambi pensano alla casa). E idem coi figli. Un conto è se uno dei 2 lavora meno o non lavora, l'altro è a parità di ingaggio. Poi chiaro che a parità di ingaggio, se uno ama stirare e l'altro ama lavare, si divide così, ma deve uscire dalle nostre zucche il "è la donna che pensa alla casa". Sarebbe il primo, enorme regalo che potremmo fare a noi stesse, invece delle solite lagne che vengono propinate ogni anno in questo giorno e son sempre la stessa solfa, e non guardar storte le bambine che dichiarano che da grandi vogliono far lavori "da maschi". La figlia di una amica vuol fare il meccanico e quando fa le richieste nelle officine quasi le ridono in faccia (e spesso le "selezionatrici" son le impiegate amministrative donne)".
Il discorso del posto di lavoro "maschile" torna anche in un'altra testimonianza. "Durante l'apprendistato ero l'unica donna sul posto di lavoro. Cercavano sempre di sminuirmi rispetto all'altro apprendista, un ragazzo. Mi ripetevano sempre di prendere esempio da lui, che non ero brava come lui. Mi fecero intendere che sarei andata bene solo a essere una ragazza da copertina oppure tanto disponibile, cosa che io non ero, perché quando qualcuno mi metteva i piedi in testa rispondevo. Però vedevo la tendenza a sminuirmi perché donna, passavo per quella meno capace e non in grado di fare il mio lavoro. E so che questa situazione perdura in altri posti di apprendistato".
Arriva, per fortuna, anche un esempio positivo. "Nel mio lavoro non siamo discriminate come donne, perché ci assegnano I vari compiti in base alla nostra costituzione fisica. Ovviamente se un uomo è forte e robusto gli vengono dati da fare i lavori manuali, mentre una donna esile o un ragazzo minuto viene assegnato ad altro, ma non si tratta di discriminazione bensi di costituzione fisica". La stessa persona però fa notare come in politica ci siano poche donne e come parecchie delle già poche sindache ticinesi non si ricandidano. "Si tende sempre a considerare che sia la donna a doversi occupare della casa, della cena, dei figli, ecc e quindi le resta poco tempo da dedicare alle riunioni di partito", è la sua motivazione-
Va anche detto che se, negli ultimi tempi, si parla molto di empowerment femminile e di sorellanza, a volte sono le donne le prime nemiche delle stesse. "Sono una donna a cui piace vestirmi in modo più "svestito", e mi sento "discriminata"( anche se mi fanno solo pena) dalle donne che si sentono nel diritto di insultare/offendere/giudicare male chi ha piacere di essere libera nella scelta del suo modo di essere/vestirsi. 'Ma guarda quella t---a con la minigonna'.
Io sto bene con me stessa e questo genere di cose non mi tocca minimamente l'umore. Ma tante donne vorrebbero vestirsi in modo più sensuale e non lo fanno perché restano male per tali giudizi. Le donne dovrebbero essere più amiche delle donne. E invece, spesso e volentieri, sono le più cattive".
"Avrei due storie di abusi sessuali, dove le vittime sono state ascoltate ma hanno dovuto prendersi la colpa", confida un'altra donna. "Chi ha fatto l'atto non è stato punito e quello che non riesco a capire è perché in alcuni casi ci sia il carcere, in altri una multa e in altri ancora nulla. Queste persone sono state discriminate perché nessuno ha creduto loro". Purtroppo storie legate a violenza, in alcuni casi psicologiche (comunque che lasciano conseguenze a lunghissimo termine), in altri addirittura fisica.
Ferite che restano nel cuore delle donne che l'hanno dovuta purtroppo affrontare. Ecco il racconto di una donna che ne è uscita: "Le storie di violenza, che può essere sia fisica che psicologica, sembrano così surreali, da essere lontane mille miglia da noi, dal contesto nel quale viviamo. Storie che guardiamo nelle trasmissioni televisive, che leggiamo sui giornali ma che in fondo non capiamo e ci lasciano increduli, perché siamo pieni del nostro sano egoismo personale, dell’amor proprio che ci permette, bene o male, di non farci ferire più di tanto da qualcuno. Peccato che queste cose, le vittime di violenza psicologica per esempio, lo abbiano perso da tempo, una vessazione alla volta, giorno per giorno. E vivendo in quel modo, non è così facile prendere coraggio, chiedere aiuto, fare qualcosa, capire che un comportamento non è normale o, portare avanti le proprie decisioni sentendosi dire ogni giorno e notte “ti uccido”, “me la pagherai cara”. Il no alla violenza, è esserci. Abbracciate, ascoltate e siate una presenza rassicurante, perchè lo schifo ci circonderà sempre e comunque, ma ognuno di noi, nel nostro piccolo, può fare la differenza per qualcuno".
Fortunatamente, diverse donne mi hanno contattata dicendo di ammirare l'idea di questo articolo ma di non avere storie che le hanno toccate in prima persona da raccontare. Oserei dire, meno male! Non solo dolore, dispiacere, parità che di fatto non c'è, difficoltà, ma anche raggi di sole, di persone che le discriminazioni le vedono, le sentono raccontare, ma non le vivono. La missione di ciascuno è far sì che questo numero cresca sempre più, sino a diventare (sarebbe utopia, ma un sogno) il 100%, in un mondo dove nessuno venga discriminato per nessun motivo.
Un primo passo sarebbe sicuramente ripensare alla vita quotidiana di famiglie e mamme, anche per i figli. Un secondo, poter vivere serenamente il mondo del lavoro, potersi realizzare, intraprendere una carriera, decidere di fermarsi per avere un bambino e poi rientrare. Il tutto senza paura.
Un altro, che prescinde da tutto, il poter amare senza temere di venire poi maltrattate, perché l'amore è altro.
Donne, riflettiamo. Non siamo nemiche una dell'altra, portiamo avanti le nostre lotte insieme. Per un mondo che sia migliore, per tutti. Uomini e donne.
Paola Bernasconi