L’AQUILA –Matteo Messina Denaro, è morto oggi a 62 anni dopo una agonia di alcuni giorni nell’ospedale dell’Aquila. Arrestato in gennaio dopo 30 anni di latitanza, soffriva di una grave forma di tumore al colon che gli era stata diagnosticata mentre era ancora ricercato. L’arresto avvenne a Palermo, nei pressi della clinica dove era in cura.
Dopo la cattura, il boss di Cosa Nostra è stato sottoposto alla chemioterapia nel supercarcere dell’Aquila dove è stata allestita una sorta di infermeria attigua alla cella. Nei 9 mesi di detenzione, il padrino di Castelvetrano è stato sottoposto a due operazioni chirurgiche, ma dall’ultima non si è più ripreso. I medici hanno dunque deciso di non rimandarlo in carcere ma di curarlo in una stanza di massima sicurezza dell’ospedale.
Nel testamento biologico ha deciso di rifiutare l’accanimento terapeutico, così venerdì gli è stata interrotta l’alimentazione ed è entrato in coma irreversibile.
L’ultimo boss stragista
Capo della mafia del Trapanese, vicinissimo al boss dei boss Totò Riina e per questo ritenuto uno dei depositari dei segreti che ruotano alla trattativa Stato-mafia, Matteo Messina Denaro è stato uno dei boss più potenti di Cosa Nostra.
Prese le redini del mandamento di Castelvetrano negli anni Novanta, succedendo al padre malato e fu tra i protagonisti del periodo stragista di Cosa Nostra. Nel 1993 fu tra gli organizzatori del sequestro di Giuseppe Di Matteo, che all'età di 12 anni venne rapito da un gruppo di mafiosi affinché il padre Santino ritrattasse le sue rivelazioni sulla strage di Capaci. Il piccolo Giuseppe dopo oltre due anni di prigionia venne brutalmente ucciso e il suo corpo sciolto nell’acido.
Grazie anche alle rivelazioni di Giovanni Brusca, diventato nel frattempo collaboratore di giustizia, Matteo Messina Denaro finì sotto processo poiché ritenuto uno dei mandanti delle bombe di Roma, Firenze e Milano. Venne condannato in contumacia all'ergastolo il 6 giugno del 1998 insieme a tutti i vertici di Cosa Nostra.
Trent’anni di latitanza
Per trent'anni è stato il latitante più ricercato d'Italia. C’è chi afferma che sia stato lui stesso a organizzare il suo arresto, o forse che sia stato venduto. “Mi avete preso per la malattia, senza non mi prendevate”, disse in tono provocatorio al procuratore di Palermo Maurizio De Lucia. “Intanto l’abbiamo presa”, replicò il magistrato.
Durante gli ultimi anni di latitanza, probabilmente, il boss rimase sempre in provincia di Trapani, appoggiandosi a una rete di amici e fiancheggiatori: tre dei suoi covi sono stati individuati nel comune di Campobello di Mazara, poco distanti uno dall’altro. Uno di questi era di proprietà di un uomo residente in Svizzera.
In seguito dell'arresto di Messina Denaro sono finiti in manette, tra gli altri, il suo autista, l’uomo che gli prestò la sua identità, e il suo medico di base. Secondo quanto è emerso dall’inchiesta, a proteggerlo è stata una dorta di “borghesia mafiosa”, popolata da esponenti del mondo politico, ma anche della massoneria deviata e delle stesse forze dell’ordine.
“Non mi farò mai pentito”
Ma Messina Denaro non ha mai rivelato nulla: “Io non ho mai infamato nessuno e morirò senza infamare nessuno - ha detto dopo l’arresto -. Io non mi farò mai pentito”.
Nel diario ritrovato nel suo covo a Campobello di Mazara aveva annotato fra l’altro: “Ho sempre pensato che sarebbe bello sapere quando è la mia ultima notte sulla terra piuttosto che venire investito da un’auto o qualcosa del genere”. Forse anche per avere il tempo di accomiatarsi dalla famiglia, alla quale ha voluto aggregarsi la figlia Lorenza, avuta in latitanza ma mai incontrata prima della cattura, che dopo i colloqui dietro le sbarre ha chiesto e ottenuto di portare il cognome del padre.
I rapporti con Provenzano
Pur essendo rimasto un fedele alleato dei corleonesi – nelle guerre di mafia combattute negli anni Ottanta e primi Novanta, oltre che nella strategia terroristica dispiegata con gli attentati del ’92 e del ’93, dov’è stato prima soldato e poi stratega – Messina Denaro ha sposato successivamente la strategia della “sommersione” adottata da Bernardo Provenzano, dopo l’arresto di Riina.
Con Provenzano ha avuto un rapporto improntato a rispetto e cordialità, come si legge nelle lettere ossequiose ma fiere in cui chiedeva il suo intervento per risolvere questioni tra clan rivali. Anche se negli interrogatori ha negato di averlo mai conosciuto di persona.
I soldi del boss e l’archivio di Riina
Matteo Messina Denaro è morto con diversi ergastoli sulle spalle, inflittigli per quattordici omicidi più le stragi, ma fino alla fine, da vero mafioso, ha sostenuto di aver conosciuto la mafia solo dai giornali, sostenendo che il suo unico scopo era fare soldi. Muovendosi tra l’Italia e l’estero, dove ha raccontato di essere andato spesso a partire dal 2006, dopo l’arresto di Provenzano e la scoperta dei pizzini che gli aveva inviato, scritti con un computer che gli inquirenti ancora stanno cercando. E i soldi? Dove li ha nascosti? Come li ha investiti, e tramite chi? “Se ho qualcosa non lo dico, sarebbe da stupidi”, ha dichiarato ai magistrati.
È vero che custodiva l’archivio di Riina, sottratto da altri mafiosi dal covo non perquisito dopo l’arresto del capo dei capi nel gennaio ’93? È un’altra domanda rimasta senza risposta. Il boss ha continuato a negare tutto, dicendo di non essere mafioso ma di “conoscere la mentalità dei mafiosi” per via dell’ambiente dove è nato e cresciuto.
Il “locarnese” Scimonelli, bancomat di Messina Denaro
Nel febbraio scorso il Tribunale di Marsala ha condannato a quattro anni e mezzo Domenico "Mimmo" Scimonelli, 55enne mafioso di Partanna, nato a Locarno (dove ha vissuto sino all’età di 18 anni) da genitori siciliani, considerato l’uomo bancomat di Matteo Messina Denaro, al quale aveva messo a disposizione carte di credito di istituti bancari di Lugano.
Arrestato nell’agosto 2015, nell’ambito dell’operazione Ermes che aveva portato in carcere undici fiancheggiatori del boss, il mafioso è alla sua terza condanna. Per favoreggiamento della latitanza dell’ultimo capo stragista di Cosa Nostra è stato condannato a 14 anni di reclusione. Fino a pochi mesi prima dell’arresto aveva effettuato numerosi viaggi a Lugano per controllare i movimenti bancari collegati alle carte di credito in uso da Matteo Messina Denaro. Scimonelli deve scontare anche una condanna all’ergastolo per essere stato il mandante dell’omicidio di un pastore a Partanna.