Economia
03.10.2017 - 15:370
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43
Tra giovani ticinesi che emigrano per "ciolare senza preoccupazioni" e più salari per famiglie, il ragionamento di Dell'Ambrogio è condivisibile: di salario minimo e simili
Risposta piccata e polemica di Zeno Casella a un intervento del segretario di Stato per l'economia, a cui non è piaciuto un passaggio in particolare. Ma in effetti Dell'Ambrogio riflette su un modello sociale e familiare che nel tempo è cambiato: un salario per famiglia per forza?
BELLINZONA – È scontro fra Mauro Dell’Ambrogio, segretario di Stato per la formazione, e il coordinatore del sindacato SISA Zeno Casella in merito ai salari minimi.
Il primo, in un intervento su liberatv.ch, aveva sottolineato un dettaglio a cui in pochi pensano: riprendendo le sue parole, “pretendiamo ora - nuovo dogma sindacale, dopo tanti miseramente abbandonati - che, per legge, ogni salario debba bastare a mantenere una famiglia con consumi “svizzeri”, e insieme che di lavoro così ce ne sia per tutti”. Ovvero, un unico salario minimo deve permettere di vivere a tutta una famiglia, mentre se coniugi e figli lavorano tutti, il minimo moltiplicato può dare loro la possibilità di farlo.
Adesso, sottolinea Dell’Ambrogio, la società è cambiata, e se una volta c’era un posto di lavoro ogni sette abitanti, ora ce n’è uno ogni due, senza calcolare le pensioni. Nella vicina Penisola (ma, aggiungiamo noi, anche qui), spesso lavorano in due per riuscire ad arrivare alla fine del mese.
Il passaggio che però non piace a Casella, tanto da fargli mandare una articolata replica, riguarda la voglia di andare a vivere da soli. “Prima della diffusione degli anticoncezionali, si usciva dalla famiglia per crearne una nuova. L’autosufficienza economica permetteva rapporti sessuali: una potente motivazione per i giovani maschi, ad adattarsi a ciò che si poteva trovare, e a rischiare, anche emigrando. In pochi decenni le cose sono cambiate grazie al miglioramento economico generale, di cui i mutati costumi sociali sono una conseguenza. Abitare da soli o con chi si vuole è diventato un diritto, ai costi provvedendo semmai le assicurazioni sociali o lo Stato”, scrive il segretario di Stato per la formazione.
E Zeno Casella, del SISA e membro del PC, ribatte piccato: “Ora, non sono evidentemente un professore di storia e non ho particolari pretese di superiorità intellettuale rispetto al signor Dell'Ambrogio. Tuttavia, qualcosina sull'emigrazione ticinese mi è capitato di leggerlo e (fortunatamente) non ho mai letto da nessuna parte che i "giovani maschi" lasciassero le nostre valli per - scusate il termine - poter finalmente ciolare senza preoccupazioni, ma piuttosto perché se non l'avessero fatto sarebbero (e con essi le proprie famiglie) probabilmente morti di fame. A dirla tutta, sono semplicemente sconcertato dal fatto che una simile posizione venga espressa da un personaggio che ricopre una carica simile – non proprio l'ultima ruota del carro nell'amministrazione federale – e che dovrebbe piuttosto adoperarsi per far sì che tali tragedie non avvengano più”.
Insomma, la motivazione delle emigrazioni non era assolutamente “sociale”, o “sessuale”, bensì economica e forzata.
Per Casella, Dell’Ambrogio vuole “dimostrare come l’autosufficienza economica – nella fattispecie un salario minimo legale dignitoso – non possa costituire un diritto individuale ma debba ritornare ad essere “un obiettivo da sudare””. E lui invece ricorda come “il fenomeno di emigrazione non è stato mai davvero debellato, e anzi, risulta in forte aumento da qualche anno a questa parte. La cosiddetta "fuga di cervelli" verso Oltralpe - di cui sono ancora oggetto i "giovani", anche se non più solo "maschi"- ripropone le stesse domande di 150 anni fa: perché si lascia il Ticino? Cosa cercano gli emigranti? Cosa manca sul nostro territorio per spingerli a partire? Dove stiamo sbagliando?”.
Sarebbero queste le domande a cui rispondere, e non, a suo avviso, come ha fatto Dell’Ambrogio, il quale, diciamo noi, in modo condivisibile o no come sempre quando si parla di opinioni, cercava di inserire il discorso sul salario minimo in un contesto sociale più generale, nel tessuto economico e familiare del Ticino d’oggi che non è quello di qualche decennio orsono. E vedere un salario minimo come moltiplicabile per i membri della famiglia è un’equazione sottovalutata ma per nulla irrealistica.
Non si fa invece convincere Casella, che termina con un attacco: “Quindi, caro signor Dell'Ambrogio, veda di tirarsi assieme: la finisca di insultare la memoria storica di una pagina tragica del nostro passato e la smetta di proporre soluzioni che palesemente non possono avere altro esito se non quello di peggiorare le già difficili condizioni di vita di fin troppi giovani ticinesi. La sua posizione richiederebbe ben altro”.
Libertà, appunto, di opinione. Però ci permettiamo di dire che per Dell’Ambrogio, certamente, il senso dell’emigrazione non era il “ciolare senza preoccupazioni”, per dirla alla Casella. Evidentemente, l’evoluzione, positiva o negativa che sia, dei costumi e delle abitudini, ha la sua influenza.
Intanto, la domanda che esce da questa diatriba a distanza riguarda, ancora una volta, il modello familiare: deve lavorare una sola persona per focolare? E non rendiamo il discorso più preciso, sennò si arriverebbe a conciliazione fra lavoro e famiglia e aiuti per i figli: no, un tema troppo ampio, davvero.