Economia
08.08.2017 - 10:300
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43
Interviene Modenini, "se sarà salario minimo unico, che sia tra 3'000 e 3'500 franchi. Per i redditi bassi, ci sono sempre gli aiuti statali"
Il direttore di AITI, "chi vuole un intervento statale nei salari è chi considera gli imprenditori ticinesi approfittatori e criminali. In Italia, parlano già di salari a 3'000 euro lordi... Il caso di Neuchâtel è diverso, ha minor impatto economico"
BELLINZONA - Dopo i politici, dopo Regazzi, probabilemnte l'intervento di Stefano Modenini, direttore di AITI, era atteso. Ed è arrivato, attraverso un tambureggiante articolo sul Corriere del Ticino. Il sunto: 3'750 franchi sono troppi, alzare la soglia dei salari minimi a quella cifra porterebbe minor occupazione. Per chi non ce la fa, ci sono gli aiuti statali, e in pochi pensano che sarebbe meglio ridurre i costi della vita.
Modenini, insomma, non le manda a dire. Prima di tutto, verso chi ha subito chiesto che la sentenza del Tribunale Federale sul caso di Neuchâtel dia il via a una rapida applicazione di "Salviamo il lavoro in Ticino". "Non hanno perso tempo coloro che da sempre preconizzano un intervento statale nella libera contrattazione lavorativa a chiedere che in Ticino venga applicato lo stesso metro di giudizio. Si tratta in particolare di chi considera gli imprenditori ticinesi, dunque molti proprietari d’azienda ma anche artigiani, commercianti e liberi professionisti, degli approfittatori e dei criminali. Chi insomma parla in maniera spregevole di economia a basso valore aggiunto e di capannoni invece che di stabilimenti industriali, senza fare consapevolmente alcuna distinzione tra chi fa impresa correttamente e profonde ogni sforzo per offrire posti di lavoro decenti e chi invece queste regole non le rispetta. Addirittura il Partito socialista rivendica un livello salariale minimo – 3.750 franchi mensili – che è stato spazzato via dal popolo svizzero e ticinese non più tardi di tre anni fa". Parole dure, insomma.
Come Regazzi, insiste sul fatto che i casi dei due cantoni siano diversi, Cantoni che peraltro "possono legiferare in materia di salari minimi ma che questi ultimi devono avere carattere sociale e non economico". L'impatto ecomico della misura del salario minimo a 20 franchi orari a Neuchâtel è a suo avviso contenuto, mentre in Ticino "secondo gli esperti incaricati dal Consiglio di Stato di valutare la situazione, un salario minimo di 3.500 franchi mensili potrebbe comportare una minore occupazione di circa 1.500 persone e costare oltre 200 milioni di franchi di massa salariale aggiuntiva".
Addirittura, "due terzi dei beneficiari sarebbero lavoratrici e lavoratori che vivono in Italia e i giornali italiani si sono subito affrettati a propagandare il messaggio che in Ticino presto si guadagneranno almeno 3.000 euro lordi al mese".
Teme che un minimo a 3'750 franchi possa portare all'abbandono di alcuni contratti collettivi e di prestazioni extra fornite dai datori di lavoro, come ad esempio il pagamento di parte dei premi di cassa malati.
Modenini ha le idee chiare sulle cifre: "qualora Governo e Parlamento optassero per la soluzione del salario minimo unico, dovrebbero trovare una soluzione equilibrata fra i 3.000 franchi mensili che il Consiglio di Stato stesso fissa in diversi contratti normali di lavoro e i 3.500 franchi mensili richiesti dai sindacati".
E poi una frase che farà certamente discutere, "è doveroso ricordare che per i redditi più bassi esiste l’aiuto sociale finanziato in maniera importante dai redditi dei più benestanti. Il salario da solo non può essere la sola risposta alle esigenze di reddito delle persone legate al costo della vita in Svizzera". Il contrario di quanto afferma il presidente del PS Igor Righini, che insiste sul fatto che chi lavora non deve aver bisogno degli aiuti statali.
Infine, Modenini ritiene che molti prodotti costano molto, e che si dovrebbe agire anche su questo punto.
Un intervento, insomma, che pare destinato a sollevare un polverone, come spesso accade quando si parla di salari minimi.