Quali sono i veri scandali? Solo quelli di cui si parla quotidianamente (Argogate, Rimborsopoli) oppure ve ne sono altri, meno noti ma altrettanto meritevoli di attenzione?
Scandalizzare significa turbare, e allora io penso che anche altre situazioni meriterebbero l’attenzione dei media e della politica. Mi ha personalmente turbato, scandalizzato un recente studio della SUPSI dal titolo «A 20 anni in assistenza» realizzato da Jenny Marcionetti, Spartaco Calvo e Elena Casabianca.
I ricercatori ci dicono che cresce in Ticino il numero dei giovani che hanno necessità di prestazioni assistenziali. Le cifre sono assai preoccupanti, specie dopo il 2011 con la modifica della legge sulla disoccupazione. Su un campione di giovani «fotografato» fra il 2008 e il 2016, risulta che 6 su 100 sono stati al beneficio, nel medesimo periodo, di misure di assistenza sociale. Il dato, che lo studio approfondisce anche in relazione a altri parametri, deve ovviamente far riflettere in una tripla prospettiva.
La prima è quella d’ordine personale. Per quale ragione malgrado l’offerta straordinaria di curricula formativi che interessano la fascia di età considerata, così tanti giovani perdono il contatto con il mondo della formazione e devono beneficiare dell’aiuto dello Stato? Quali le conseguenze di questo stato di cose a medio e lungo termine per i giovani stessi, per le famiglie, per la comunità?
La seconda prospettiva di riflessione concerne lo strumento dell’assistenza e le conseguenze finanziarie. È evidente, almeno per me, che l’assistenza non è stata creata per aiutare in primo luogo i giovani, ma piuttosto persone che tendenzialmente hanno perso o rischiano di perdere l’aggancio con il mondo del lavoro. Non posso perciò immaginare che questo strumento sia pensato principalmente per i giovani perché mi rifiuto di credere che lo Stato possa applicare la logica assistenziale tradizionale ai giovani.
La terza prospettiva è infine quella finanziaria: quando verrà a costarci questo stato di cose se non sapremo trovare delle risposte?
Lo studio è interessante per quello che ci dice ma anche, specialmente, per una serie di indicazioni che offrono delle «piste» su quanto si può mettere in atto. Scopriamo infatti che il fenomeno del «giovane in assistenza» è legato a un percorso personale e a condizioni sociali abbastanza ben definite. Il percorso personale parla di difficoltà di apprendimento nell’ambito della scuola obbligatoria, di perdita rapida di autostima; le condizioni sociali dicono delle difficoltà economiche che si manifestano già a livello d’infanzia.
Impossibile, per questi giovani, la prospettiva di una formazione accademica, difficile, spesso, l’acquisizione di un certificato professionale anche perché le condizioni di difficoltà conosciute durante la scuola dell’infanzia e la scuola media, combinate con il disagio economico, portano a una perdita di «rotta» con conseguente necessità d’intervento assistenziale. In questo senso è importante trovare delle nuove piste, che permettano una presa a carico più completa. Il giovane non ha bisogno solo di una consulenza o di un lavoro: per il giovane di cui parla la ricerca, si deve «ricostruire» una struttura personale che gli permetta di uscire da un circolo vizioso malsano.
La politica deve innanzitutto prendere atto di questo «scandalo» sconosciuto, deve «scandalizzarsi» nel senso proprio del termine e deve pertanto cercare di reagire. Personalmente credo che possano esistere delle risposte atte a aiutare questi giovani, risposte concrete e immediate e confido che Governo e Parlamento le possano trovare agendo sulle cause della situazione. A mio avviso l’approccio al fenomeno, come già è avvenuto nella Svizzera romanda e come avviene con taluni progetti avviati anche in Ticino, non deve essere «ideologico», ma molto pragmatico e mirato alle concrete esigenze dei singoli giovani.
Il numero di giovani è in costante crescita negli ultimi anni ed è per questo che vanno sviluppate nuove proposte più complete di un semplice piano occupazionale, risposte in grado di garantire una formazione, nello spirito più simili a borse di studio che non a aiuto sociale generico e non individualizzato.
Detto in altri termini, anche dal punto di vista finanziario occorre passare dalla logica del costo a quella dell’investimento sociale: alla fine tutti potranno averne un beneficio.
* deputato in Gran Consiglio - Presidente dell’Ordine dei medici