“Un incontro (anche) doloroso può cambiarci la vita. Ho avuto un’infanzia molto bella e spensierata. Poi, a un certo punto, un incontro mi ha aperto gli occhi”.
È da poco tornato dal Perù Fiorenzo Dadò, dove ha scalato i 5.947 metri sull’Alpamayo dedicando la sua impresa ai 30 anni dell’ASPI, la Fondazione impegnata contro gli abusi sui bambini.
“Ci si chiederà come mai da tanto tempo arrampico sulle cime in giro per il mondo per sensibilizzare sul tema della lotta agli abusi e contro ogni forma di violenza sui fanciulli. Ecco, ora lo racconto” – spiega il presidente del Centro in un’intervista a LaRegione che ha molto di confidenziale.
“Ciò che mi anima è una promessa” – racconta Dadò. “Sono stato un bambino fortunato e felice. Poi, a un certo momento della mia vita, ho incontrato una ragazza che subiva abusi da parte del padre. Questa ragazza ha avuto difficoltà enormi, è caduta in depressione, fino a togliersi la vita. È stato un periodo doloroso, io avevo appena cominciato a far politica. Prima di morire mi ha chiesto di fare tutto quello che potevo per informare su questi temi così delicati, e tutelare l’infanzia. È una promessa che le ho fatto, e che cerco di mantenere e portare avanti nei modi che conosco e in cui riesco”.
Da qui la scelta di scalare montagne anche molto alte e impegnative “per ritrovare il candore e la purezza”, ma soprattutto “siccome la cosa desta una certa curiosità e interesse nell’opinione pubblica, unisco l’utile al dilettevole, cercando nel mio piccolo di sensibilizzare ogni volta su un aspetto diverso”. A metà agosto, in vetta ai 5.947 metri dell’Alpamayo, in Perù, Dadò ha srotolato lo striscione in sostegno della fondazione Aiuto, sostegno e protezione dell’infanzia (Aspi) che festeggia quest’anno trent’anni di attività.
Un impegno simbolico e significativo, a sostegno di chi si occupa con impegno e serietà, ogni giorno, della tutela dei bambini. “Chi come me ha la fortuna di salire su queste montagne e provare la soddisfazione e la serenità che dà questa attività difficile e pericolosa, è importante che si impegni anche a trasmettere dei messaggi utili”, continua Dadò. “Durante la scalata mi ha accompagnato il ricordo di Alex Pedrazzini, il politico più attivo contro la pedofilia in Ticino, e che, per la prima volta, non ha potuto assistere a questa mia spedizione. Alex è stato precursore e capofila in questa battaglia, l’ho sempre sentito solidale e ho sempre avuto il suo sostegno. Durante queste tre settimane l’ho pensato e sentito molto vicino”.
Anche quest’anno Dadò ha tenuto fede alla sua promessa. Malgrado le condizioni a dir poco proibitive: “A questa magnifica montagna, prima di poterla vedere e scalare, ci siamo avvicinati con giorni di trekking e attraversando un ghiacciaio non molto facile a 5mila metri. Per attaccare la cima, siamo partiti dalla tenda alle 11 di notte e, tra andata e ritorno siamo stati in parete circa 14 ore, senza mangiare né bere, sotto la tormenta e la bufera. In vetta non ho avuto l’opportunità di vedere il panorama come si nota dalla foto, ma se durante l’avvicinamento mi sentivo teso e un po’ in ansia, rientrando sono stato ripagato da una grande serenità. Mentre scendevo sulla morena ho trovato molti sassi a forma di cuore, che salendo non avevo notato. Di montagne ne ho scalate parecchie, ma non ne ho mai visti così tanti come questa volta. Credo sia un segno”.
“Ora occorre una legge contro le punizioni corporali ai bambini” – afferma il presidente del Centro, e lancia un appello: “La Svizzera è una delle pochissime nazioni in Europa che non dispone di una legge a tutela dei bambini contro le punizioni corporali. Fabio Regazzi in Consiglio nazionale si è impegnato molto in più occasioni, io colgo l’occasione per rilanciare questo tema e chiedere a lui e ai deputati a Berna di farsi promotori di una legge degna di nota e che porti la nostra nazione all’avanguardia anche in quest’ambito”.