di Andrea Leoni
Mancano le liste: la pietra angolare per sviluppare qualche ragionamento concreto sulle prossime elezioni cantonali. E mancano ancora sei mesi al giorno del verdetto: un tempo non trascurabile nella politica contemporanea, che brucia notizie e carriere in un amen. Quelle che possiamo offrire oggi sono quindi solo semplici impressioni, sfumate ed imprecise, per loro stessa natura mutabili.
Quest’aria di settembre non promette una campagna elettorale memorabile. Per il 5 aprile 2023 non si annunciano fuochi d’artificio da lasciare a bocca aperta. Si ripresentano quattro ministri su cinque e già questo è un pesante anestetico alle sorprese. Permettetemi una parentesi. Il nostro Consiglio di Stato è una squadra affiatata che ben amministra, ma non governa, come collegio. È probabilmente l’Esecutivo più dipartimentalista della storia recente. Si è dato una regola non scritta: ogni ministro ha diritto a portare in Parlamento le riforme in cui crede, senza ostruzione da parte dei colleghi. Ma le regole, quelle scritte, del nostro sistema istituzionale prevedono altro. E cioè che il Governo sia il primo filtro di mediazione sulle proposte. Che il consenso e le maggioranze si comincino a costruire durante le sedute di Consiglio di Stato. Altrimenti il Governo, come in effetti avvenuto negli ultimi anni, si limita gettare bistecche nell’arena del Gran Consiglio: che un po’ s’azzuffa, un po’ ci mette una pezza e un po’ le porta davanti al popolo. E il meccanismo s’inceppa. È un problema noioso ma serio, sul quale occorrerebbe chinarsi in futuro. Chiusa parentesi.
Ma veniamo alle impressioni sui partiti, a cominciare da quello che più di tutti ha fatto discutere nelle ultime settimane: il PS.
Partito socialista
Il gruppo dirigente socialista persegue due obbiettivi. Uno molto logico, che per anni ha avvantaggiato l’area di destra, ovvero costruire un fronte progressista con i Verdi e con chi ci sta della sinistra radicale. Per cogliere frutti golosi occorrerà pazienza, ma nel medio termine questa alleanza sembra l’unica scelta razionale per opporre un contrappeso credibile a Lega/UDC e ai partiti di centro. La composizione della lista governativa secondo lo schema 2 PS - 2 Verdi - 1 rappresentante della società civile - e nello specifico 2 socialisti con una candidatura forte e una giovane - aveva una ferrea logica tattica fintanto che la candidatura di Greta Gysin era possibile. Perché in quel caso l’obbiettivo sarebbe stato difendere ad ogni costo il seggio socialista, convogliando su un unica persona i voti. È molto meno solido, questo schema, caduta la candidatura della Consigliera Nazionale dei verdi: gli ecologisti non hanno nomi eleggibili in Governo e il seggio socialista è assicurato. E qui veniamo al secondo obbiettivo. La dirigenza del PS desidera scegliere il proprio Consigliere di Stato, senza correre il rischio che lo eleggano altri, con i voti esterni. Successe con Patrizia Pesenti, più di recente con Paolo Beltraminelli contro Giovanni Jelmini, accade quasi anche tra Marina Masoni e Laura Sadis. Per questo motivo Marina Carobbio e basta. Una scelta contestabile ma che in passato hanno fatto anche altri partiti. Non è una novità insomma. Finora questi due obbiettivi hanno raccolto ampi consensi nelle sedi decisionali del partito. Per ora nessun big si è alzato a dire altolà. Vedremo al congresso, l’organismo per eccellenza di espressione della base, dove Amalia Mirante si giocherà l’ultima carta della sua campagna elettorale interna al partito. Ad oggi non si intravvedono all’orizzonte segnali di sorprese.
Lega/UDC
Le altre forze politiche impegnate con alleanze elettorali sono Lega e UDC. Come ad ogni tornata il parto è travagliato ma la sensazione è che si farà. Gli esponenti dei due partiti, ormai da mesi, nelle segrete stanze e in camera caritatis si punzecchiano, litigano, soffrono di terribili mal di pancia. Ma alla fine subentrerà “l’effetto Freysinger” e firmeranno l’accordo. La destra fa molta meno fatica a ragionare con realpolitik: troppi e troppo importanti i seggi sull’asse Berna-Bellinzona-Lugano, per cedere a colpi di testa. In queste settimane ne ho sentite dire peste e corna gli uni sugli altri, ma a parte Claudio Zali, nessun leghista o democentrista si è detto davvero pronto a tentare la via solitaria. E questo è comunque un segnale. Senza farla troppo lunga sappiamo che la “pietra d’inciampo” - l’iniziativa popolare che l’UDC lancerà contro la tassa di collegamento - ha reso ancora più tesi i rapporti. Non è un mistero per nessuno che Piero Marchesi, candidato in pectore per l’UDC, ha nel mirino la poltrona di Zali, magari con il sostegno di quel mondo economico che stapperebbe bottiglie di champagne in caso di sconfitta dell’attuale direttore del DT. Ma per Marchesi c’è un secondo obbiettivo, meno proibitivo di quello di scalzare un uscente, che è quello di piazzarsi terzo sulla lista, ovvero primo subentrante, in prima fila per il futuro ricambio. I due ministri leghisti, infatti, dovrebbe lasciare a fine legislatura. E qui arriva un altro nodo: in via Monte Boglia si ragiona sul fatto che si potrebbe giungere a una successione più ordinata, e soprattutto pro domo Lega, se si riuscisse a candidare un terzo nome leghista in grado di battere Marchesi. I profili non abbondano ma si continuano a corteggiare alcuni big. Il quinto sulla lista in quota UDC mi si dice che sarà Paolo Pamini, ma anche il municipale di Lugano Tiziano Galeazzi ha dato la disponibilità a candidarsi. Nell’accordo tra di due partiti resta da sistemare qualche dettaglio anche per le elezioni federali. Per i democentristi c’è anche l’obbiettivo importantissimo di aumentare la rappresentanza in Gran Consiglio.
PLR
Per la prima volta dal 2011 il PLR affronta questa campagna elettorale senza l’ossessione del raddoppio in Consiglio di Stato. I liberali radicali scendono dunque in campo con la testa libera e con una leggerezza d’animo che non potrà che far bene. L’obbiettivo fissato dal presidente Speziali è semplice: migliorare la classifica rispetto all’ultima volta. Con le percentuali in Consiglio di Stato, certo, ma soprattutto cercando di rimpolpare il gruppo parlamentare. E attenzione: il baricentro della politica si è molto spostato dall’Esecutivo al Legislativo. Anche se la campagna sarà come da tradizione tutta incentrata sul Governo, per la prossima legislatura sarà molto più importante il risultato del Parlamento che del Consiglio di Stato.
Alessandro Speziali ha ricollocato il PLR nell’area di centrodestra e l’esame elettorale servirà soprattutto per capire se la strada imboccata è quella giusta. La sua presidenza ha sparigliato carte ed alleanze, con qualche felice intuizione e qualche tonfo. Siamo molto curiosi di vedere la lista. “Vogliamo schierare 5 figure Alfa”, ha promesso, cioè rosa forte, da combattimento. Christian Vitta e Alessandra Gianella sono sicuri. Aspettiamo di vedere gli altri tre per giudicare.
Un ultimo aspetto importante, infine: la possibile elezione di Marina Carobbio in Consiglio di Stato, potrebbe aprire una girandola di nomi in casa PLR per riprendersi il posto agli Stati, con ricadute anche sul Nazionale. Occhio.
PPD/Il Centro
Non è una campagna da grilli per la testa per Il Centro. Il presidente Fiorenzo Dadò, con sano realismo da alpinista, ha fissato obbiettivi consoni alle possibilità del suo partito: mantenere le posizioni in Consiglio di Stato e in Gran Consiglio. Non sarebbe un risultato “banale” per i tempi che corrono. Proprio per il discorso che si faceva poc’anzi, avere una buona rappresentanza in parlamento sarà determinante sulla prossima legislatura. E se confermare con un buon risultato il ministro della sanità Raffaele De Rosa, cioè colui che ha guidato il primo fronte nel contrasto alla pandemia, non dovrebbe essere difficile, più complessa si prospetta la battaglia per il Legislativo. Il PPD, per paradosso, ha forse le liste più complesse da costruire. Non possono essere troppo forti, non possono essere troppo deboli. Servirà un lavoro da chimici per trovare la giusta formula e il giusto equilibrio.
Agli azzurri, infine, occorrerà fare una sintesi della propria offerta politica. In questa legislatura hanno lavorato molto e presentato tante buone proposte, ma è mancata una linea. Si fa sempre un po’ fatica a capire dove il PPD stia di casa. Un po’ va bene ma alla lunga disorienta. E da qui la domanda fondamentale: chi vota il Centro dove spende il suo voto?