POLITICA
Apertura negozi, Danilo Forini: “Le nuove misure hanno spezzato degli equilibri: ne valeva la pena?”
"Comprendo la necessità di sostenere l’economia locale e il turismo, ma occorre dare la priorità al benessere di migliaia di commessi e piccoli commercianti indipendenti che lavorano già 6 giorni alla settimana, spesso da soli"
TiPress/Alessandro Crinari

di Danilo Forini *

La questione degli orari di apertura dei negozi non è semplicemente una questione ideologica. Io credo che dipenda piuttosto dalle sensibilità personali di ognuno di noi. A me personalmente fa comodo trovare i negozi, soprattutto i supermercati, aperti più a lungo e più spesso. Comprendo anche la necessità di sostenere l’economia locale e il turismo. Ma sono altresì convito che rispetto a questa comodità utilitaristica e agli interessi della grande distribuzione, occorre dare la priorità al benessere e alla qualità di vita di migliaia di commessi e commesse, venditori e venditrici, piccoli commercianti indipendenti che lavorano già 6 giorni alla settimana, da soli nei loro piccoli negozi.

Indubbiamente sono sensibilità e interessi difficili da coniugare. Un equilibrio tuttavia è stato trovato con la Legge sull’apertura dei negozi entrata in vigore nemmeno due anni fa, risultato di un decennio di intense discussioni politiche, di una votazione popolare, di un contratto collettivo frutto del compromesso nato dal partenariato sociale. 

A maggioranza, il Gran Consiglio ha però negli scorsi giorni deciso deliberatamente di rompere questo equilibrio. Di poco forse, con misure minime. Ma si sa che gli equilibri spesso si possono spezzare anche dai più piccoli strappi. Uno strappo nei confronti di migliaia di collaboratrici e collaboratori del settore che temono che un continuo processo, passo a passo, verso la liberalizzazione completa degli orari di apertura porti a una inevitabile frammentazione degli orari di lavoro. Con tutte le conseguenze sulla salute e sociali del caso.

Uno strappo rispetto alla pace del lavoro, valore evidenziato anche dal Consigliere di Stato Christian Vita che ha espresso chiaramente la propria preoccupazione e priorità nel voler favorire e mantenere la collaborazione tra le parti sociali.

Uno strappo rispetto alla sensibilità del mondo cattolico che difende il principio evangelico del santificare le feste e di proteggere dei preziosi momenti in famiglia alla domenica e nelle feste religiose infrasettimanali.

Uno strappo rispetto ai piccoli commercianti, quegli imprenditori indipendenti che con fatica ogni giorno aprono e chiudono il loro negozietto, che non potrebbero permettersi un dipendente salariato, per i quali l’apertura prolungata significherebbe unicamente rinunciare ancora di più a momenti di riposo di fronte ad entrate che, di certo, non cambieranno di molto.

È stato detto e si dirà che si tratta solo di una domenica, di mezz’ora e 200 metri in più. Ma proprio per questo, perché andare a rompere l’equilibrio attuale? Il successo economico e sociale del nostro Paese passa anche dal tradizionale compromesso tra visioni differenti, tra interessi divergenti. Non serve inseguire il “modello italiano”.

Ora la tensione nel settore è ritornata alta e si rischia di tornare nuovamente al voto in quanto i sindacati, che giustamente ascoltano le preoccupazioni dei lavoratori e delle lavoratrici, stanno seriamente valutando di lanciare un referendum. Si rischia inoltre che il contratto di lavoro settoriale trovi molte più difficoltà ad essere rinnovato con le relative conseguenze rispetto al fenomeno del dumping salariale e la sostituzione del personale locale con lavoratori frontalieri.

Ne valeva la pena?

 
* Deputato PS in Gran Consiglio

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