*Presa di posizione dell’MPS sulla questione delle commissioni parlamentari
Il nodo della presenza nelle commissioni parlamentari è, per quel che riguarda l’MPS, un problema assai vecchio. I nostri rappresentanti (o i rappresentanti di formazioni politiche che hanno preceduto l’MPS) non hanno mai formato un gruppo e quindi hanno sistematicamente subito quelle limitazioni antidemocratiche che il mancato accesso alle commissioni ha sempre comportato.
Pensiamo, per non fare che un solo esempio, al fatto che, malgrado la presenza dell’art. 53 della LGC preveda, al suo cpv.1, che “ogni deputato ha diritto alle informazioni e alla documentazione necessaria per i dibattiti”, in realtà, basandosi sui capoversi seguenti dello stesso articolo che limitano questo diritto generale, quasi mai la documentazione messa a disposizione di una commissione viene poi distribuita agli altri deputati; e se questo può essere, almeno in parte, compreso per i deputati dei partiti presenti nelle commissioni, è assolutamente intollerabile per i deputati che non appartengono a questi gruppi. La documentazione distribuita nelle commissioni (ad esempio: le risposte che il governo – e quindi l’amministrazione – elabora a seguito di domande poste in commissione per approfondire i messaggi) dovrebbe essere messa a disposizione di tutti i deputati e le deputate.
Siamo invece confrontati ad un’asimmetria di informazione chiara e importante che rappresenta un importante handicap per i partiti non presenti nelle commissioni. I quali, evidentemente e conseguentemente, non possono far altro che “interrogare” o “interpellare” il governo attraverso gli strumenti parlamentari di cui dispongono. Da qui, anche quello che viene definito il proliferare di atti parlamentari; che, spesso, viene addirittura incoraggiato dalla stessa amministrazione. Un piccolo esempio. Alcuni mesi fa, il deputato Pronzini aveva chiesto, informalmente, alla direzione del DECS di poter avere alcuni dati relativi alla scuola, precisando che preferiva rivolgersi in questo modo per non dover ricorrere a una interrogazione parlamentare. Significativo che, proprio la direzione del DECS, abbia risposto negativamente a questo modo di procedere (e non certo perché i dati non potessero essere diffusi), invitando il deputato a inoltrare una interrogazione parlamentare.
Accanto alla questione della documentazione vi è quella della procedura scritta (art. 134). Basterebbe scorrere gli ordini del giorno delle sedute del Gran Consiglio per rendersi conto come questa procedura sia ormai diventata di fatto quella standard, numericamente di gran lunga più ricorrente.
Le implicazioni di questa procedura sono evidente per i deputati che non fanno gruppo e che, di conseguenza, non hanno accesso alle commissioni, dato che tale procedura prevede che “…il Gran Consiglio decide senza dibattito”.
Questo significa che per tutta una serie di temi sottoposti a questa procedura, i deputati delle formazioni politiche che non fanno gruppo hanno diritto ad un intervento per una dichiarazione di voto di un minuto. In poche parole, non hanno il diritto di esprimersi in modo compiuto, portato le proprie valutazioni e il proprio punto di vista.
Da qui il ricorso a mozioni e iniziative come unico strumento che permette a un deputato di avviare una discussione (seppur breve poiché limitata al proprio intervento a sostegno della mozione) su temi che lo interessano.
Non dobbiamo poi dimenticare come l’assenza dalle commissioni impedisce di fatto qualsiasi possibilità di intervento a sostegno dell’iter parlamentare delle proposte. Non a caso l’MPS è la lista che può contare una percentuale elevata di proprie mozioni e iniziative parlamentare inevase, malgrado sia passato molto tempo da quando queste sono state inoltrate.
La questione della presenza in seno alle commissioni è naturalmente un punto centrale, non nuovo come abbiamo detto qui sopra. In occasione della precedente legislatura avevamo proposto – d’accordo con le altre liste non facenti gruppo – che il Parlamento esercitasse il diritto, conferitogli dall’art. 29 cpv 2 della LGC, assegnando “in una o più Commissioni tematiche o speciali un seggio supplementare a deputati non appartenenti a un gruppo parlamentare”.
Naturalmente la risposta a quella nostra proposta era stata netta: 59 No, 27 Si, 2 Astenuti. Se si esclude la posizione dei rappresentanti del PS e dei Verdi (favorevoli alla proposta), tutti gli altri gruppi si esprimevano facendo riferimento alle ragioni che il capogruppo del PLRT, Alex Farinelli, sintetizzava con chiarezza nel suo intervento conclusivo. Egli si opponeva alla proposta poiché riteneva che essa fosse discriminatoria nei confronti dei partiti maggiori, cioè quelli che formano gruppo; ma poi sottolineava il motivo di fondo con queste parole:“D'altra parte, la scorsa legislatura ci ha insegnato che il far parte di una Commissione non impedisce di adottare, per altro legittimamente, posizioni di opposizione nel Plenum, come è accaduto con il collega Pronzini in seno alla Commissione speciale per l'esame della pianificazione ospedaliera”. Sulla stessa linea l’intervento del capogruppo della Lega – Foletti – che affermava, di avere “poco da aggiungere a quanto affermato dal collega Farinelli.
Il latino è chiaro: solo le forze che non mostrano di opporsi alle politiche governative (e nella sua bontà democratica Farinelli affermava che ciò è di per sé legittimo) meritano di far parte di commissioni parlamentari.
Ad essere quindi decisivo non è il fatto che una lista abbia un numero limitato di deputati, ma la loro collocazione politica. In fondo si rimprovera all’opposizione di fare il proprio mestiere.
Non sorprende (e conferma la nostra analisi) che questo punto di vista sia oggi oggetto di riflessioni da parte dei partiti maggiori. Non certo per una generica volontà di coinvolgere le liste minori che non formano gruppo, ma perché i nuovi gruppi hanno una collocazione politica vicina ai gruppi maggiori e non si pongono in una prospettiva di opposizione alle scelte del governo.
E che la discussione sia tutta incentrata sui rapporti di potere lo mostra la controversia sull’interpretazione da dare alla legge per la distribuzione dei seggi nelle commissioni.
Su questo tema i deputati dell’MPS si asterranno, proprio perché la discussione – da una parte e dall’altra – evita accuratamente di rimettere in discussione il rapporto tra presenza in Parlamento e presenza nelle commissioni, limitandosi a una questione di rapporti di forza tra i partiti già presenti. Dal nostro punto di vista tutte le formazioni politiche presenti in Parlamento dovrebbero aver diritto ad essere rappresentate almeno nelle principali commissioni.
Alla luce di queste considerazioni e sulla base delle attuali disposizioni di legge, l’MPS proporrà nella seduta costitutiva di eleggere un proprio deputato nelle quattro commissioni tematiche sulla base dell’art. 29.2. secondo il quale il Gran Consiglio può nominare in queste commissioni un deputato supplementare.