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Sanità
29.04.2017 - 12:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:43

Del Don esorta a non avere paura. "Una crisi, se superata, può portare a nuovi orizzonti, essere una ricchezza. Serve solo trovare qualcuno con cui parlarne senza timore"

Sempre più giovani hanno problemi psichici, e molti temono il giudizio sociale rivolgendosi a professionisti. Ne abbiamo parlato con lo psichiatra, "non sono difetti e chiunque può uscirne"

BELLINZONA – Sempre più giovani soffrono di depressione e problemi psichici, ma il fatto di rivolgersi a un medico competente, ovvero uno psichiatra, suscita ancora molti pregiudizi. Era una delle riflessioni emerse da un nostro articolo dopo il rapporto annuale di Telefono Amico, che indicava come principali cause del fenomeno solitudine e indifferenza. Ne abbiamo discusso, in una lunga e interessante chiacchierata, col dottor Orlando Del Don, che individua altre motivazioni di fondo che portano a disagi.

Quali motivi portano le persone a stare sempre più male?
“C’è una fragilità di fondo, che solitudine, emarginazione, paura del futuro, mancanza di prospettive, difficoltà economiche, problemi acuiscono. A mio avviso, ciò che fragilizza le persone è qualcosa di strutturato nella nostra società occidentale. Citerei da una parte l’assenza di desiderio reale, che la gente non può esprimere dato che il consumo è ormai coatto: finiamo per desiderare tutti la stessa cosa senza esprimere la nostra vera natura. Purtroppo in una società materialista, se non si può avere il consumo che non fa pensare alle proprie cose, si crolla. L’altro elemento importante è che c’è un processo di omologazione e di omogeneizzazione degli orizzonti esistenziali, è difficile uscire da una visione condivisa.. Ma l’essere umano vorrà il suo modo particolare di essere”.

E  giovani?
“Prepariamo loro tutto, li facciamo studiare, diamo anche le attività da prendere in mano, ma sono infelici, a volte si suicidano. Un giovane vuole sperimentare, fare le sue scelte, ma la nostra società non ti permette di sbagliare anche solo curriculum di studi. E questo, nei giovani più esigenti, introspettivi, sensibili, porta a perdere il mordente della vita. Non si possono neppure ribellare, perché viene loro detto perché sono infelici, pur avendo tutto. E scatta ancora il senso di colpa”.

Rileva un aumento di problemi psichici nei giovani?
“Certo, è un problema. In Svizzera la seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali, è il suicidio, anche mascherato da incidente o sociale, ovvero quando uno molla tutto, rinuncia, non vuole uscire di casa, preferisce aspettare, non se la sente. Ma si dovrebbero dar loro gli strumenti per essere più forti, per saper accettare lo stile di vita pur trovando uno spazio per essere sé stessi”.

Esistono ancora la paura e la vergogna a venire da professionisti come lei?
“C’è lo stigma che se si va dallo psichiatra o dallo psicologo si ha qualcosa che non va, è una macchia sul curriculum se qualcuno lo scopre”.

Cosa si può fare, in merito?
“La gente dovrebbe essere più informata, e qui siamo in ritardo. Non riusciamo ancora a trasmettere alla gente la convinzione che avere dei momenti di sconforto è una ricchezza, non una fragilità. Le persone che più sono intelligenti, introspettive, capaci, esigenti verso la loro vita sono quelle che vanno in crisi. Essa, se superata, porta a ripartire con nuovi orizzonti e un nuovo bagaglio, ma se non riparti perché nessuno ti aiuta ti schiaccia. Tanti sono parcheggiati a vita, nascono esistenze infelici. Molti sono depressi senza saperlo, si stringe i denti e basta. La colpa è anche degli psichiatri, che credono che ogni problematica ha un’origine biologica”

Sono molti i casi di persone che non si rivolgono a voi e vivono con la problematica?
“Non si rivolgono, non vogliono riconoscere. Rendersi conto di aver bisogno è un segnale di intelligenza, assolutamente non di debolezza. Per tanti aspetti della vita si è fatto un cambiamento enorme, penso alla liberazione sessuale della donna e al ruolo dell’uomo nella società e nella famiglia, mentre non si riesce a presentare momenti di debolezza rispetto alla propria sicurezza. Non è un difetto, insisto!”

Cosa vuol dire a queste persone?
Ciò che posso dire è che quando mi trovo davanti a queste persone in poco tempo, intendo poche settimane, esse cambiano la loro visione della vita. Hanno bisogno solo di qualcuno con cui poter parlare liberamente senza paura del giudizio e dell’essere etichettati. Gli amici spesso hanno paura, se qualcuno confessa un problema del genere gli si fa il vuoto intorno, si pensa che non sia del tutto apposto, lo si compatisce. Va fatto un grosso lavoro sociale. Ma se i miei colleghi alimenteranno certe teorie, non andremo da nessuna parte".

Quali sono i pregiudizi più diffusi?
"In molti credono che se vengono da noi gli diamo le pillole, e non vogliono essere dipendenti dai farmaci, per cui non arrivano. Essi però vengono dati solo in pochi casi, ma se si crede di avere un difetto, si pensa anche che la soluzione sia quella. Il lavoro è di relazione, è una psicoterapia, è qualcosa che avviene nel rapporto con l’altro. Il gatto si morde la coda, poiché ritengono che non si solleveranno mai senza la pastiglia, che rifiutano credendola la conferma di un difetto. La colpa è di chi sostiene certi temi all’alba del terzo millennio. Oltretutto, i disturbi del pensiero legati all’insicurezze o a certe manie possono passare rapidamente, pur acuendosi con lo stress. Tutti possiamo averli. Non se ne parla mai, purtroppo, quando sarebbe così semplice. Nella mia carriera, non ho mai trovato situazioni impossibili, la cronicità non esiste, chiunque può uscirne”.
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